Più di una volta, durante le sessioni di counseling con persone che hanno ricevuto una diagnosi di cancro, ho ascoltato questa frase: «Potrò riprendere a vivere solo quando sarò guarita (o guarito)».
Questa convinzione, che esprime la sensazione di essere in un tunnel senza uscite accessorie – o sono malata o sono guarita, non ci sono vie di mezzo – e che poggia sull’identificazione totalizzante della persona con il ruolo di “malato”, porta con sé due ordini di problemi: il fatto che non sia chiaro che cosa si intenda per “guarito” o “guarita” e il fatto che comunque, nel frattempo, non si viva pienamente, facendo venire meno quell’insieme di pensieri, emozioni e atteggiamenti che maggiormente favoriscono il ritorno alla salute.
In sospeso
La guarigione è un concetto che diventa “reale” quando si riceve il benestare del medico, e ogni malato spera che il risultato del prossimo esame gli sia favorevole. I pareri degli esperti contengono informazioni che possono avere un peso determinante nell’organizzazione della sua vita, quello che però non aiuta è che la routine dei controlli si trasformi in una tensione continua nell’attesa del “semaforo verde” da parte del medico. Questo potrebbe arrivare relativamente presto, oppure dopo due, tre, cinque o dieci anni, e in ogni caso, se può rassicurare nell’immediato, non può essere considerato una garanzia di salute eterna. Anche l’influenza o la bronchite, una volta guarite, possono ripresentarsi, oppure no.
È dunque molto importante essere consapevoli del tipo di atteggiamento che si sta adottando, al fine di decidere se si vuole vivere la malattia come qualcosa che mette la vita in pausa fino a un non ben identificato segnale di via libera, o se si preferisce considerarla un problema in più da gestire, mentre vita segue comunque il suo corso.
I dubbi di Elsa
Provo a chiarire questi concetti con un dialogo, frutto dell’elaborazione di diverse sessioni di counseling con persone che portavano problematiche simili. La conversazione avviene tra me e un’ipotetica ma realistica figura di donna di circa venticinque anni, che chiameremo Elsa, reduce da una mastectomia al seno destro, da vari mesi di chemioterapia e da un ciclo di radioterapia, la quale manifesta la sua paura che il cancro si ripresenti.
Elsa: «Ho paura di non essere guarita».
Luciana: «Guarita… Ma cosa vuol dire per te “guarita”?»
E: «Che gli esami dicano che non c’è più niente, che la TAC sia pulita».
L: «Dunque se la TAC è pulita tu sei tranquilla perché ti stanno dicendo che sei guarita?»
E: «Mmm… non del tutto».
L: «Perché?».
E: «Perché dopo sei mesi, dopo un anno ci sono le altre TAC che potrebbero non andare bene».
L: «Eh già… E dunque di quante TAC pulite hai bisogno per sentire che sei guarita?».
A questo punto Elsa mi guarda in silenzio.
L: «Se tu affidi agli esami il tuo sentirti sana, starai mantenendo l’attenzione sempre sul futuro, sul risultato del controllo successivo. Se dopo trent’anni di TAC pulite ti guarderai indietro ti sentirai guarita?».
E: «No perché ci sarà sempre quella dopo…».
L: «E se la guarigione è un miraggio perché dipende sempre dalla TAC successiva, nel presente come senti di essere?».
E: «In sospeso…».
L: «E questo sentirti in sospeso ti fa stare bene?».
E: «No.».
L: «Cosa ti farebbe sentire bene?».
E: «Sentire che sono guarita adesso».
L: «E com’è per te una persona guarita?».
E: «Sta bene, ha energia, pensa ai progetti futuri, a viaggiare, lavorare, a innamorarsi.».
L: «Ma è bellissimo. E tu come ti senti adesso?».
E: «Io adesso sto bene e anche gli esami sono a posto».
L: «Fantastico! E cosa pensi di fare ora che hai finito con le terapie?».
E: «Andrò a studiare sei mesi in Inghilterra, ho conosciuto un ragazzo che mi piace e a cui io piaccio, sto riprendendo a uscire la sera, a sciare, a visitare gli amici, ho in progetto un altro viaggio molto lungo in Asia per lavorare nella cooperazione allo sviluppo».
L: «Caspita, sei strapiena di progetti, e ti sento davvero vibrare!».
E: «Sì, effettivamente mi sento benissimo, rinata, sento di aver ripreso il mio posto nel mondo».
L: «E riesci a godertelo fino in fondo?».
E: «Sì certo».
L: «Puoi pensare che sei guarita in ogni momento in cui stai bene e riesci a fare la vita che desideri?».
E: «Sì, in effetti e così».
L: «E mentre senti che stai bene e fai quello che ti fa sentire viva, riesci a immergerti così tanto nel presente che quasi scompare tutto il resto?».
E: «Mi succede proprio questo in effetti…».
L: «E puoi pensare che fare la vita che ti dà gioia è la cosa importante anche se gli esami non sono perfetti?».
E: «Sì è così, è così… anche se l’idea di dover rifare la chemio mi terrorizza, penso “No con una nuova chemio non ce la faccio”».
L: «Certo, ci sei già passata e mi hai raccontato che è stato un periodo molto duro, in cui ti sei ritirata dal mondo, in cui ti sentivi sbagliata e fuori posto».
E: «Sì effettivamente mi sentivo proprio depressa».
L: «Ma dal momento che ci sei passata, credi che affronteresti una nuova chemioterapia così come hai vissuto la prima?».
E: «No, sento di essere cresciuta molto in quest’ultimo anno e ora ho molti più strumenti per viverla meglio».
L: «E puoi pensare a vivere al massimo nel presente e che nel caso in cui dovesse rendersi necessario un nuovo ciclo di terapia avrai la tua maturità, le risorse e tutto l’aiuto intorno a te per viverla al meglio, in modo da eliminare gli aspetti più negativi che ti spaventano? ».
E: «Sì, posso pensare che ce la potrò fare di nuovo e meglio che in passato».
L: «Questo pensiero come ti fa sentire?».
E: «Un po’ più tranquilla».
L: «E con questo pensiero puoi concentrarti sulla bellezza della tua vita di oggi e preoccuparti meno di ipotetici scenari futuri?».
E: «Sì, mi sento un po’ più leggera».
L: «Ti senti guarita?».
Sorride e fa un respiro profondo.
L’incertezza
Nella vita di ogni persona a cui viene diagnosticata una malattia come il cancro entra e si espande una nuova variabile: l’incertezza. In generale nessuno può essere sicuro di restare in salute per sempre, ma senza un sintomo o un documento che dica il contrario questa è la percezione. Ci sentiamo normalmente invincibili e in totale controllo della vita, delle scadenze, dei progetti, mentre quando quel foglietto arriva, tutto viene messo in forse. All’inizio l’incertezza spaventa, fa crollare ogni riferimento e fa sentire persi, ma col tempo si può trovare il modo di vivere bene e sereni anche in sua compagnia. In fondo, “mettere la vita in sospeso fino a che non saremo guariti” rappresenta questa richiesta: «Voglio che l’incertezza finisca, voglio tornare ad sentirmi invincibile come prima, con la sensazione di un tempo infinito davanti a me, di camminare sotto un cielo privo di nuvole».
Al fine di aggiungere qualche sfumatura al ragionamento, può essere utile sapere che non tutte le persone che hanno ricevuto una diagnosi di cancro percepiscono la guarigione come un fenomeno che riguardi solamente il corpo. I racconti di coloro i quali hanno sperimentato una remissione spontanea, anche in casi di malattia molto avanzata, riportano che a guarire sia stata in primo luogo la loro vita e che il ritorno alla salute del corpo ne sia stata solo la conseguenza. Per essi “guarire” ha significato comprendere finalmente i propri bisogni profondi, e iniziare a considerarli prioritari; ha voluto dire iniziare a ritrovare un’intimo amore e accettazione per se stessi; ha voluto dire aprire alla vita senza volerla controllare e scoprire qualcosa di prezioso per sé in ogni incontro o evento; ha voluto dire trovare la propria missione, la propria ragione di esistere e il meglio di sé da lasciare al mondo; ha voluto dire scoprire il proprio potenziale e aprirgli le porte senza cercare un particolare risultato; ha voluto dire tante altre cose, e tutte diverse per ciascuno. E si sono incamminati verso tutto questo per il solo piacere di quell’avventura, senza quasi chiedersi dove li avrebbe portati, per il gusto pieno di vivere. Qualunque cosa dicessero le TAC.
Se vuoi approfondire l’argomento o desideri imparare a vivere pienamente nonostante l’incertezza, contattami.
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