Sani, malati o solo “persone in movimento”?

Avete mai notato che quando si parla di salute, esiste l’abitudine di dividere il mondo tra sani e malati? E che nel momento in cui qualcuno riceve una diagnosi di malattia importante passa da una categoria all’altra senza soluzione di continuità? Vi siete mai chiesti che conseguenze ha questo modo di pensare nel modo di considerare se stessi e gli altri? Ma soprattutto, vi siete mai chiesti cosa significhi esattamente essere sani o essere malati?

Aaron Antonovsky, sociologo della salute e ideatore del paradigma salutogenico, sviluppato nella seconda metà del Novecento, constatò l’estrema rarità di trovare  individui che fossero completamente sani o completamente malati, in base al modello biomedico1. Considerando infatti i parametri che normalmente si usano per valutare lo stato di salute, come dolore, limitazione funzionale, prognosi o necessità di cure (vedasi la Tabella 1), è evidente che non esiste un bianco o nero, bensì una gradazione di intensità.

Tabella 1 – Parametri correntemente utilizzati nella valutazione operativa di “salute”.

Dolore
Ogni stato o condizione dell’organismo che l’individuo percepisca come dolorosaPer niente
Lievemente
Moderatamente
Gravemente 
Limitazione funzionale
Stato o condizione dell’organismo che l’individuo percepisca limitante per uno svolgimento delle attività quotidiane che sia appropriato in base alla propria valutazione del soggettoPer niente
Lievemente
Moderatamente
Gravemente 
Implicazioni prognostiche
Una condizione che le autorità sanitarie definirebbero  Non acuta o cronica
Lieve, acuta ma contenuta
Lieve, cronica e stabile
Seria, cronica e stabile
Seria, cronica e degenerativa
Seria, acuta e potenzialmente letale
Intervento richiesto
Una condizione per la quale le autorità sanitarie richiederebberoNessun intervento di cura
Interventi diretti alla riduzione dei fattori di rischio
Osservazione, supervisione o ulteriori approfondimenti
Intervento terapeutico attivo

Fonte: Antonovsky, A. (1979), Health, stress and coping, Jossey-Bass, p. 65.

La valutazione dello stato di “sana” o “malata” di una persona si complica ancora di più se alla dimensione fisica aggiungiamo quella emozionale, esistenziale o spirituale.  Antonovski osservò che ciascun essere umano si trova sempre in un qualche punto lungo la linea continua che porta dal polo positivo del benessere totale a quello negativo del malessere totale, dei quali la salute è solo una delle dimensioni. E il movimento lungo detta linea dipende da vari fattori: dalla percezione che ciascuno ha della condizione in cui si trova (es.: “Quel che mi accade peggiora o no la mia qualità di vita? In quali aspetti?”); dalla fiducia di venirne fuori; dalle risorse e dall’aiuto di cui si dispone; dalla personale capacità di impiegare aiuti e risorse proprie per gestire la situazione in modo efficace e viverla al meglio delle possibilità.

Come possiamo dunque definire una persona libera da sintomi e perfettamente prestante ma infelice? O al contrario una persona con una malattia molto avanzata ma capace di godere comunque di ogni momento in tutta la sua pienezza? È sana o malata una persona che ha l’influenza? O che porta gli occhiali, o l’apparecchio acustico? Oppure chi si sente depresso ma solo per brevi periodi? O chi ancora, a causa di un incidente o una diagnosi vive momenti di rabbia e paura ma anche momenti in cui è grato alla vita come mai prima?

Quali sono i pericoli insiti in questa domanda? E perché per alcuni è così importante rispondere? Quanto incide la risposta nella qualità di vita delle persone? Quanto incide nel modo in cui queste vengono viste e nel valore che a loro viene attribuito? Queste categorie possono forse avere un senso dal punto di vista dei protocolli terapeutici o della burocrazia sanitaria, ma non dal punto di vista dell’essere umano che naviga nel mare degli eventi.

Ogni persona è un essere umano che desidera dare alla sua esistenza la migliore forma possibile, indipendentemente dalle condizioni in cui si trova. Per fare questo deve imparare a nuotare bene nel “fiume turbolento della vita”2, attingendo a risorse e conoscenze e trasformando la sua esperienza in nuovi strumenti e competenze.

Pensate a come sposare questa visione cambierebbe la considerazione dei medici verso i pazienti, dei genitori che devono prendersi cura dei figli o dei figli che devono assistere i genitori anziani.

Se mio padre è per me “malato”, rischio di mettere la malattia in primo piano rispetto al mondo della sua persona, tendo a guardarlo con tristezza, mi focalizzo di più su ciò che ha perso che su quel che ha ancora, l’orizzonte delle possibilità si riduce e il futuro diventa un destino funesto. Questa visione deprime la spinta vitale e il basso livello di energia che ne consegue viene contagiato mutuamente.

Se invece riesco a vedere che certo, il problema di salute di mio padre è parte della realtà, ma che egli è prima di tutto una persona che può essere aiutata a spostarsi verso il polo positivo del benessere, anche io figlia posso agire in tal senso, nel qui e ora, e con la mia creatività. Posso chiedermi come fare in modo che, nonostante la situazione, questo giorno che passiamo insieme possa convertirsi in un tempo buono, intimo, ricco per entrambi? Se questo è il mio punto di vista mantengo ampio l’orizzonte di ciò di bello può esserci, la gioia orienta il mio agire e l’energia aumenta sia per me che per la persona che assisto.

Se invece sono un medico e il mio paziente è visto innanzitutto come un malato, anche qui, l’attenzione si limiterà alla malattia ma non si allargherà al vissuto che l’accompagna. Sapere che questa persona unica, al di là della terapia, può essere aiutata a spostarsi verso il polo positivo del benessere amplia la gamma di strumenti a disposizione per farla stare meglio, e per farla vivere meglio; amplia la gamma di professionisti che possono intervenire con quest’obiettivo; restituisce alla persona stessa la responsabilità di attivarsi per riprendersi ogni spazio di quel benessere possibile che desidera per sé e che conosce meglio di chiunque altro.

Se invece sono io stesso a vedermi innanzitutto come un malato, mi identifico in quel ruolo, con il rischio di autosvalutarmi e di lasciare andare alla deriva la barca della mia vita. È importante decidere di restare al timone del proprio progetto di vita, gestire sì i problemi ma senza perdere di vista la direzione, ricordarsi che, qualunque sia la condizione, sono sempre io e sono una persona viva, che vuole godere della sua occasione, e che desidera farlo ogni momento, oggi, senza attendere che qualcuno la riclassifichi nella categoria dei “sani”.


Bibliografia

Antonovsky A. (1979), Health, stress and coping, Jossey-Bass

AA. VV. (2022), The Handbook of Salutogenesis, Second Edition, Springer International Publishing

Note

1 Si tratta del paradigma medico che ha orientato ricerca, diagnosi e cure negli ultimi due secoli. Il modello biomedico si concentra principalmente sui fattori biologici e fisiologici, considerando la malattia come una deviazione dallo stato di salute normale, le cui cause possono essere note o meno. La risposta terapeutica è anch’essa diretta al corpo. Ogni interazione della salute fisica con variabili di tipo psicologico, emozionale o sociale viene ignorata.

2 Definizione di Aaron Antonovsky volta a sottolineare che la vita è per sua natura piena di stimoli, tensioni e stressor inevitabili. Di conseguenza la soluzione per rafforzare la salute non è cercare di evitarli ma imparare a gestirli in modo efficace.