Una delle principali domande che attende chi è affetto da un problema di salute e chiede il mio aiuto è: «Perché vuoi guarire?». Lungi dal voler essere una provocazione, è un invito a chiedersi se ci siano delle solide motivazioni per voler guarire che vadano oltre la paura della malattia in sé.
«Perché vuoi tornare in salute, per farne che cosa delle tue giornate?». Prova a restare un attimo in ascolto profondo e a percepire come queste diverse risposte risuonano in te: «Perché non voglio soffrire», «Perché mio figlio è ancora troppo piccolo e senza di me non ce la farebbe», «Perché voglio finire di costruire la casa per la mia famiglia»; oppure «Perché voglio terminare il mio progetto in modo da lasciare qualcosa di buono di me nel mondo», «Perché voglio godere di ogni minuto con mia moglie, per trasmettergli il meglio di me», «Perché voglio fare un lungo viaggio in Perù per soddisfare le mie curiosità di una vita». Quali tra queste risposte ha stimolato una maggior spinta vitale in te? Noti una differenza tra il primo gruppo e il secondo? C’è qualche frase nella quale ti riconosci o la tua risposta sarebbe stata completamente diverse? Sarebbe bene rifletterci su e mettere le conclusioni per iscritto.
A volte, quando pongo questo quesito, le persone mi dicono che non trovano una risposta, oppure che non capiscono proprio la domanda, per cui provo a riformularla con sfumature più concrete come queste: «Che senso ha per te la tua vita?», «Per cosa vivi? Per raggiungere quale obiettivo?», «Per sentire quali emozioni?», «Per vivere quali esperienze?», «Per lasciare cosa agli altri o al mondo?», «Che cosa ti fa sentire davvero viva?», «Per cosa non vedi l’ora di alzarti dal letto ogni mattina?», «Che cosa ti fa provare una felicità così intensa da lasciarti stordito?». E la risposta normalmente va meditata, perché si tratta di domande che raramente poniamo a noi stessi.
Senso e spazio di libertà
Trovare una ragione per la nostra esistenza è una spinta fondamentale, è ciò che muove il corpo a trovare ogni via possibile per preservare la propria forza e la nostra vita, anche nelle condizioni più difficili. Lo psichiatra Viktor Frankl1, considerato il padre della logoterapia, la terapia basata sul significato, durante la seconda guerra mondiale visse la drammatica esperienza di reclusione in diversi campi di concentramento del Terzo Reich. Privato di ogni cosa che non fossero continue sofferenze inferte al suo corpo e al suo spirito, si rese conto di quanto fosse essenziale trovare un significato per vivere e per resistere, l’unico spazio di libertà che restava e che nessuno gli poteva togliere. Restare legati con un filo a un sogno, al desiderio di riabbracciare una persona cara, di portare a termine un progetto rimasto in sospeso, qualcosa che andasse oltre se stessi, poteva costituire l’unica via di fuga per potersi estraniare dalle esperienze dolorose del corpo e dell’anima e continuare a voler vivere (Frankl, 2007).
Ragioni per vivere e salute
Anche lo psiconcologo Lawrence LeShan, osservò che la mancanza di ragioni per vivere è spesso parte del contesto che un gran numero di persone vive prima di sviluppare un cancro. Persone che non sanno cosa fare delle loro giornate, persone che hanno perso un affetto intorno al quale girava la loro vita e non sono riuscite a trovare un valido sostituto, persone che sono andate in pensione e non sentono più di avere un posto nel mondo, sembrano essere più esposte allo sviluppo della malattia. Ma non sono le sole, in quanto il rischio aumenta anche quando la persona, pur non avendo perso familiari o ruolo sociale, ha però perso la speranza sul fatto di poter realmente ottenere il tipo di vita, di relazioni e di pienezza desiderate: ha smesso di credere che potrà “fiorire” e dare voce al suo potenziale, a quel “seme” profondo di lei che chiede con forza di germogliare. Nel suo programma di ricerca, LeShan osservò che la mancanza di speranza era presente in una percentuale che andava dal 70% all’80% dei pazienti oncologici mentre era presente solo nel 10% del gruppo di controllo. È dunque palese come la mancanza di speranza e l’assenza di ragioni per vivere siano intimamente legate (LeShan, 1994). La depressione, vista nella sua sfumatura di incapacità di trovare un reale e profondo interesse nella vita, è stata correlata a un maggior rischio di cancro e a peggiori prognosi dai tempi di Galeno e riconfermata dagli studi degli ultimi tre secoli.
Così come avevano osservato i coniugi Simonton, anche LeShan rilevò che le persone che ritrovavano la gioia di vivere aumentavano la loro capacità di risposta alla malattia e la loro qualtià di vita. Egli lavorò per più di 35 anni nell’aiutare le persone a scoprire la loro vena preziosa di senso e, contrariamente alla maggior parte dei suoi colleghi, anziché chiedersi che cosa non andasse nel paziente, da cosa dipendesse e come potesse essere aggiustato, egli focalizzò l’attenzione su ciò che già andava bene nella vita del suo assistito e su come questo potesse essere usato come leva di fiducia in se stesso, aumentando nell’immediato la sua carica energetica.
Le forti ragioni per vivere sono inoltre un elemento fondamentale che emerge costantemente nei casi di remissione spontanea analizzati dalla dr.ssa Turner (Turner, 2015), e questo elemento sembra essere, insieme a un atteggiamento attivo, un fattore chiave nel miglioramento delle prognosi al punto di poter raddoppiare i tempi di sopravvivenza (Greer et al., 1979, 1990), come confermato anche dalle ricerche del dr. Simonton (Simonton et al., 1978).
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Bibliografia
Frankl V.E. (2007), Uno psicologo nei lager, Ares, Milano.
Greer S., Morris T.m Pettingale K.E. (1979), “Psychological response to breast cancer effect on outcome”, Lancet, Oct 13;2(8146):785-7
Greer S., Morris T., Pettingale K.W., Haybittle J.L. (1990), “Psychological response to breast cancer and 15-year outcome”, Lancet, Jan 6;335(8680):49-50.
LeShan L. (1994), Cancer as a turning point, Penguin Group, New York
Simonton C., Matthews-Simonton S., Creighton J. L. (1978), Getting well again, Bantam Books, New York, (trad. it. Ritorno alla salute, Edizioni Amrita, Torino, 2005).
Note
1 Viktor Emil Frankl (1905-1997), di famiglia ebrea, fu un neurologo e psichiatra viennese, creatore della logoterapia, ovvero la terapia basata sul significato dell’esistenza come elemento fondamentale della vita. La sua esperienza nei lager del regime nazista durò dal 1942 al 1945.
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