Quando le emozioni fanno paura

Paura di sentire e di esprimere le emozioni

Nell’articolo Salute, reponsabilità e colpa avevamo iniziato a fornire qualche chiarimento sulla relazione tra mente e corpo e sottolineato l’importanza di interpretare in modo “sano” la consapevolezza di poter far leva sui nostri pensieri e sulle nostre emozioni in beneficio della salute. Un altro problema che può presentarsi nel gestire la stretta connessione tra pensieri, emozioni e corpo, e che ha sempre a che vedere con la tendenza a semplificare i fenomeni complessi racchiudendoli in un binomio causa-effetto, si riferisce al timore di provare emozioni che si considerano “negative”.

Paura di sentire

Alcune persone, in special modo quelle che nella loro storia personale sentono particolarmente viva la convinzione di essersi ammalate in buona parte a causa dei loro malesseri emozionali, pensano di dover essere felici in ogni momento delle loro giornate. E dal momento che questo non è realizzabile, né tantomeno proprio della natura umana, si crea una forte frustrazione. Tutto quello che le fa intristire o arrabbiare, tutto ciò che fa loro paura e quello non riescono a tenere sotto controllo le esaspera, dal momento che, non solo è sgradevole di per sé, bensì viene percepito anche come minaccioso “perché fa aumentare i livelli di stress e dunque può potenzialmente indebolire l’organismo”. E dal momento che quanto più le emozioni vengono negate e costrette, tanta più forza acquisiscono, si crea tra mente e corpo un circolo vizioso di forte angoscia. La convinzione sottostante è la seguente “Non posso permettermi di sentire paura, impotenza, tristezza, rabbia, perché queste emozioni mi fanno ammalare”.

Ogni emozione ci aiuta a vivere

In realtà è impossibile impedire alle emozioni di emergere, sono un formidabile strumento di cui l’evoluzione ci ha dotato per orientare le decisioni al fine di favorire la nostra sopravvivenza in un ambiente in costante cambiamento. Le emozioni sono i segnali che ci comunicano che tipo di attività, situazioni o relazioni per noi sono benefiche, perché ci fanno sentire gioiosi, carichi e vitali, e quali invece ci fanno stare male, in presenza delle quali sentiamo repulsione o fatica e malumore e dalle quali percepiamo il desiderio di stare lontani. Le emozioni, la cui elaborazione si realizza nel sistema limbico1 del cervello, sono una parte fondamentale della nostra capacità di fare delle scelte. Detta capacità decisionale, tradizionalmente assimilata alle sole facoltà razionali e analitiche, è in realtà il risultato dell’interazione tra queste, l’elaborazione delle emozioni e la memoria. Il neuroscienziato Antonio Damasio2 (Damasio, 1994) rilevò che di fronte a due bicchieri d’acqua identici, due pazienti che avevano subito danni importanti a un’area del cervello coinvolta nell’elaborazione delle emozioni3, non erano assolutamente in grado di effettuare una scelta. Le emozioni, qualunque sia il loro colore, sono dunque un elemento fondamentale nella scelta dei comportamenti che decidiamo di mettere in atto per la nostra sopravvivenza in ogni circostanza della vita.

Stress e percezione soggettiva

Il concetto di stress, così come concepito dal neurofisiologo Hans Selye4 (Selye, 1974) a cui si deve il primo ed esaustivo studio sulla reazione tra emozioni e risposta organica, non è dunque né positivo né negativo, si tratta di una tensione adattiva che è semplicemente parte della vita. La figura seguente mostra come in presenza di un evento di fronte al quale è necessario uno sforzo di adattamento, la risposta degli individui possa essere la più diversa.

Tipi di risposta a un evento stressante

Come potete vedere, un evento che richiede uno sforzo di adattamento, come per esempio il fatto che il nostro capo ci chieda di farci carico di un nuovo e difficile progetto, può essere percepito in modo molto diverso da ciascuno. Per qualcuno può rappresentare una sfida personale che ha inoltre in serbo nuove conoscenze, esperienze e possibilità di carriera, una sfida che può far sentire la persona piena di nuove energie, eccitata, allegra ed estremamente concentrata. In questo caso, potete vedere come, pur in presenza di uno stressor, ovvero di una richiesta che scatena la necessità di sforzi da parte della persona coinvolta per dimostrarsi all’altezza del compito, questo tipo di reazione non crea effetti negativi sull’organismo, dal momento che non si attiva quello che viene conosciuto come l’asse dello stress HPA5 (ipotalamo-ipofisi-surrenalico). Questo accade perché la persona sente di avere strumenti, volontà e capacità sufficienti per poter affrontare con profitto la situazione. In questo caso parleremo di eustress, ovvero di uno stress positivo, funzionale.

Nel caso di una seconda persona, invece, la richiesta del capo può scatenare il panico. L’impiegato in questione può sentire non aver proprio le capacità di farsi carico del progetto in questione e allo stesso tempo non osa obiettare e mostrarsi insicuro. In questa circostanza, in cui sente di non riuscire a gestire la situazione e si dibatte nella situazione attacco o fuga si parla di distress, di uno sforzo di adattamento tale da attivare la risposta biochimica da stress della Sindrome Generale di Adattamento scoperta appunto da Hans Selye. Grandi quantità di adrenalina, noradrenalina e cortisolo entrano in circolo e la persona si sente agitata, molto attiva e pronta a scattare6. Se questa situazione è di breve durata, perché magari l’interessato trova un collega che volontariamente si offre di fare il lavoro al suo posto, o perché il capo semplicemente cambia idea, la situazione che crea distress cessa di esistere. Come risultato, la fisiologia interna e le sensazioni della persona recuperano uno stato di quiete. Se però la richiesta del capo perdura nel tempo e l’impiegato si sente in trappola, impotente e teme che prima o poi pagherà le conseguenze della sua scarsa prestazione, allora l’intensità e la durata della risposta da stress potranno portare a un’importante immunodepressione che renderà prevedibilmente l’organismo più debole di fronte all’insorgenza di eventuali malattie.

L’importanza di saper reagire all’evento avverso

Esiste però un’ulteriore possibilità. Se grazie a questa impegnativa richiesta del suo principale l’impiegato reagisce dicendo a se stesso che ce la farà, e decide di trovare il tempo e la forza per studiare, stabilire nuovi contatti, imparare a usare nuovi software, migliorare la conoscenza delle lingue straniere, alla fine di questo processo, nonostante la risposta da stress sia perdurata nel tempo per sostenerlo nel suo proposito, il suo sistema immunitario ne uscirà, non solo intatto, bensì rafforzato. Come mai?

Un esempio particolarmente illuminante a riguardo viene dallo studio di Madelon Visintaner e dei sui colleghi dell’Università della Pensilvanya (Visintaner et al., 1982). L’obiettivo del loro test era quello di valutare la possibilità che la capacità di gestione dello stress potesse condizionare lo sviluppo dei tumori nei topi da laboratorio. I topi furono suddivisi in tre gruppi, due dei quali sarebbero stati sottoposti al test, e uno di controllo che venne mantenuto al riparo da ogni fonte di disturbo. Prima del test a tutti i topi vennero trapiantate cellule di carcinoma mammario.

Successivamente, i topolini dei gruppi sperimentali vennero distribuiti in due gabbie e sottoposti, durante intervalli variabili, a scosse elettriche a bassa intensità per un totale di 60 scosse della durata di 60 secondi. I topi della prima gabbia non avevano alcuna possibilità di evitare le scosse. Nella seconda gabbia invece, era stato collocato un piccolo pedale che, se premuto, bloccava la scossa sia per la prima che per la seconda gabbia. In totale dunque tutti i topi avevano ricevuto lo stesso numero di scosse e per la stessa durata. L’unica differenza tra i due gruppi sperimentali era che il secondo gruppo aveva trovato il modo di gestire e controllare l’evento stressogeno mentre il primo gruppo aveva potuto soltanto subirlo.

Nel mese successivo, si fecero le rilevazioni riguardo lo sviluppo del tumore. Il topolini del gruppo di controllo avevano mostrato una percentuale di rigetto del 54%, il gruppo esposto a uno stress ingestibile aveva rigettato il tumore nel 27% dei casi, mentre quello che era potuto intervenire per controllarlo aveva avuto una percentuale di rigetto del 63%, ovvero molto più alta di quella del gruppo di controllo. Gli studiosi conclusero che l’esperienza psicologica di sapere cosa fare per gestire un evento avverso poteva essere un fattore chiave capace di contribuire a controllare la crescita tumorale.

Questa stessa conclusione è poi emersa in numerosi altri studi sugli esseri umani, in particolare tra quello di S. Greer e i suoi colleghi della Scuola di Medicina del King’s College Hospital di Londra (Greer et al, 1979, 1985, 1990). Lo studio venne realizzato con la collaborazione di 57 pazienti accomunate da una diagnosi di carcinoma della mammella allo stadio iniziale e aveva l’obiettivo di verificare se l’atteggiamento conseguente alla diagnosi potesse influire sulla loro sopravvivenza. In base alla loro reazione alla diagnosi, le pazienti vennero suddivise nelle seguenti categorie così denominate: negazione, spirito combattivo, accettazione stoica e impotenza. Dopo un periodo di cinque anni le persone appartenenti alle prime due categorie, le quali avevano gestito la notizia della diagnosi e il periodo di cure, con fiducia e grande spirito combattivo, avevano registrato tassi di sopravvivenza doppi rispetto alle donne dei gruppi accettazione stoica e impotenza che lo avevano affrontato con un senso di impotenza, appunto, passività e rassegnazione. Questo risultato fu riconfermato dopo 10 e 15 anni.

Libertà di sentire e responsabilità di agire

Tutte queste informazioni hanno l’obiettivo di rassicurare sul fatto che ognuno di noi è libero di godersi tutto lo spettro di emozioni a sua disposizione, poiché è grazie a esse che siamo vivi e facciamo le scelte che riteniamo più adatte a noi. Gli alti e bassi fanno parte della natura umana e sono ciò che permette la crescita, per cui non vanno combattuti ma vissuti, elaborati e digeriti. Abbiamo tutto il diritto di immergerci in un momento di scoramento, di fatica estrema o di lutto, è importante riuscire a trovare dei canali di sfogo per la pressione che sentiamo dentro. Non dobbiamo però lasciare che sentimenti di questo tipo diventino dei mulinelli che risucchiano anche lo spazio che invece dovrebbe essere riservato alla parte più gioiosa e vitale di noi che è quella che spiana la strada verso la salute. Nel caso dovessimo accorgerci che la nostra vita sta perdendo leggerezza, senso, colore e sapore, è importante agire e, se necessario, chiedere aiuto, al fine di elaborare nuovi punti di vista e nuove soluzioni che ci permettano di ritrovare il nostro posto a ogni cambio di scenario.

Se vuoi approfondire ulteriormente l’argomento o cerchi un aiuto per gestire al meglio una situazione di stress logorante.


Bibliografia

Damasio, A. R. (1994), Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam (trad. it. L’errore di cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995

Selye H. (1974), Stress without distress, New American Library, New York (trad.it. Stress senza paura, Rizzoli, 1976)

Visintainer M.A., Volpicelli J.R., Seligman M.E. (1982), “Tumor rejection in rats after inescapable or escapable shock”, Science, Apr 23;216(4544):437-9

Note

1 Il sistema limbico è formato da una serie di strutture cerebrali localizzate nella parte profonda del telencefalo, tra le quali l’amigdala, l’ippocampo, l’ipotalamo, i nuclei anteriori del talamo, implicate nell’elaborazione delle informazioni provenienti dagli organi di senso, delle emozioni, della memoria e nell’integrazione tra il Sistema Nervoso Autonomo e quello neuroendocrino.

2 Antonio Damasio (Lisbona,1944) è un neuroscienziato e psicologo portoghese, autore di diverse pubblicazioni riguardanti la relazione tra le emozioni, la coscienza e il cervello umano.

3 Si tratta dell’area della corteccia cerebrale prefrontale ventromediana.

4 Hans Selye fu il neuroendocrinologo austriaco (1907-1982) che studiò le reazioni degli animali da laboratorio a diversi tipi di fattori di disturbo, riscontrandone una reazione aspecifica comune del loro organismo e del loro comportamento che chiamò “Sindrome Generale di Adattamento”.

5 Acronimo dell’inglese Hipotalamic–Pituitary-Adrenal axis.

6 Naturalmente la cascata di reazioni e di sostanze che segue all’attivazione dell’asse dello stress è molto più articolata. In quest’occasione ci limitiamo a quelle fondamentali che stanno dietro al nostro ragionamento. Per approfondimenti si veda l’articolo Di cosa parliamo quando parliamo di stress.

Foto di Annie Spratt da Unsplash