Tutti noi abbiamo sperimentato al meno una volta nella vita la sensazione che alcuni problemi continuino a ripresentarsi a distanza di tempo: relazioni all’inizio idilliache che dopo qualche mese poi diventano conflittuali; paura paralizzante al momento di parlare in pubblico o di sostenere un esame; boicottaggio di quel passo verso il cambiamento che sappiamo essere proprio quello che ci farebbe stare meglio.
Siamo convinti di aver provato con tutte le forze a metterci del nostro: a essere comprensivi con gli altri; a meditare prima di dover esporre in una sala gremita, nel tentativo di rilassarci; oppure ci raccontiamo che avremmo tanto voluto fare quel passo ma… non era mai il momento adatto. Eppure questi comportamenti non sembrano aver funzionato, ma non li mettiamo in discussione perché siamo convinti che siano quelli giusti e che il fatto che la situazione non cambi si deve al fatto di non averli applicati abbastanza bene, abbastanza spesso o abbastanza a lungo.
Come mai restiamo affezionati per anni ai nostri tentativi di soluzione anche se non danno i frutti sperati? Perché probabilmente una qualche volta in passato hanno funzionato, e siccome gli esseri umani per economia mentale tendono a ripetere nel presente ciò che ha già dato buoni risultati, continuano ad applicare tali e quali le vecchie ricette anche a persone e contesti attuali che possono essere molto cambiati.
Nel mondo del Problem Solving Strategico®, sviluppato dal prof. Giorgio Nardone e dai suoi colleghi della Scuola di Palo Alto, questi comportamenti ciclici e fallimentari vengono chiamati tentate soluzioni ridondanti, ed è molto importante analizzarle approfonditamente per evitare che la persistenza del problema venga alimentata paradossalmente dai tentativi ripetuti e fallimentari di risolverlo.
Finché la persona non si rende conto del collegamento tra il comportamento agito e il fallimento della tentata soluzione, continuerà a pensare che il comportamento è corretto ma che non è stato eseguito a regola d’arte. Nel momento in cui si comprende che il proprio senso di frustrazione è dovuto a quella specifica soluzione inefficace, allora la persona inizierà a sviluppare nei suoi confronti una naturale avversione emotiva e percettiva, data da una sorta di paura anticipatoria verso un nuovo fallimento.
Capire cosa non si deve più fare, aiuta la persona non solo a liberarsi di vecchi schemi comportamentali inefficaci, ma la spinge ad aprirsi ad altre alternative e a stimolare a questo scopo la sua creatività.
Fare un passo di lato per riuscire a vedersi dall’esterno, è nel lavoro di risoluzione dei problemi, una leva importante di potere personale. L’analisi delle tentate soluzioni fallimentari che mantengono i problemi anziché risolverli, ci aiuta a capire come ognuno di noi sia prima artefice e poi vittima di quello che mette in atto: siamo attivi costruttori dei nostri problemi, ma c’è anche una buona notizia: possiamo essere anche attivi risolutori se iniziamo a guardare in modo strategico alle nostre esperienze passate, da soli o con l’aiuto di un professionista, in base all’importanza del problema.
Se anche tu hai la sensazione di essere intrappolato in un problema da tempo e vuoi un aiuto per valutare l’esistenza di eventuali tentate soluzioni che lo mantengono, contattami.
Bibliografia
Nardone G. (2009), Problem solving strategico da tasca, Adriano Salani Editore