Parlare con un counselor o con un amico? Che differenza c’è?

Ognuno di noi, in qualche momento particolarmente difficile della vita, desidera ricevere un aiuto, ma ancor prima di questo desidera essere ascoltato e compreso. Normalmente il primo passo è quello di rivolgersi a chi è più prossimo, un amico fidato o i propri familiari, e in tante occasioni questo soddisfa le necessità di sentirsi appoggiati, considerati e amati. Se però ciò che si desidera è di sentirsi realmente liberi di tirare fuori ciò che si sente e si pensa, senza timore delle conseguenze, oppure essere aiutati a fare chiarezza per poi pervenire a scelte consapevoli e mature scevre di interferenze, questa scelta può presentare delle controindicazioni. Vediamone alcune.

Le persone che ci vogliono bene difficilmente reggono il nostro dolore a fronte di un problema che non riusciamo a gestire, e questo condiziona la loro capacità di ascolto attivo, il quale richiede una concentrazione totale e la capacità di mettere da parte le proprie preoccupazioni e pregiudizi per far spazio alla comprensione profonda di chi parla (Hough, 1996). Una mamma, un fratello, un amico, si sentono spesso responsabili della felicità del loro caro, e per “spegnere” il suo disagio -che è anche il loro- il prima possibile, cercano di assumere il controllo della situazione dando per esempio dei consigli. Abbiamo già visto nell’articolo dedicato ai consigli esterni quanto questi possano però essere inefficaci e lasciare “a piedi” chi si è confidato. Inoltre, se detti consigli non vengono adottati, chi li ha suggeriti può sentirsi sminuito, sconcertato, se non addirittura contrariato, fatto che condiziona negativamente la relazione, creando un problema in più alla persona che ha chiesto ascolto, anziché uno in meno.

Le persone vicine inoltre possono avere delle idee fisse su come i loro cari dovrebbero pensare, sentire e comportarsi e dunque tendono a giudicare negativamente chi da queste si allontana. Il loro sostegno non è perciò scontato, e può portare la persona a doversi giustificare anziché a sentirsi libera di esprimere ciò che ha dentro.

La comunicazione con le persone vicine può inoltre essere resa più difficile dal fatto che magari anche loro hanno voglia di parlare di sé, e anche questo limita la loro capacità di ascolto attivo. O ancora pensano di conoscere così bene chi parla che cercano di anticipare i suoi pensieri, di completare le frasi che ha iniziato o lo interrompono per presentargli le proprie conclusioni, senza in ogni caso lasciargli lo spazio necessario per terminare il suo discorso.

Una volta terminata la conversazione poi, la preoccupazione per una questione delicata raccontata da figlio, dal partner o da un amico, può portare chi l’ha ascoltata a volerne condividere il peso emotivo con altri parenti o amici, violando la riservatezza di chi si è confidato. Questo aspetto può inibire la persona dal raccontarsi oppure può creare notevoli malumori in famiglia e perdita di fiducia in chi abbia diffuso la notizia.

Può anche accadere che chi desidera confidarsi si senta a sua volta responsabile della felicità delle persone amate. Quando sono in gioco questioni importanti, come decisioni che sovvertono la logica familiare, i modelli educativi ricevuti, o problemi di salute, è l’interessato stesso che può sentirsi inibito dal raccontare i fatti e le difficoltà che lo riguardano per timore di sconvolgere l’animo delle persone care. Questo può portarlo a nascondere i suoi turbamenti, o a dire delle mezze verità per proteggere i loro sentimenti, ma al prezzo di restare con un senso di pressione emozionale nell’animo ancora da risolvere.

Tutte queste difficoltà svaniscono nel momento in cui la persona decide di rivolgersi a un interlocutore neutrale ed esperto come il counselor professionista, che fa dell’ascolto attivo, dell’empatia e della sospensione del giudizio la base del suo lavoro.

Durante l’incontro di counseling il counselor è lì per l’unica ragione di costruire uno spazio di libertà totale per il cliente, nel quale quest’ultimo potrà lasciare emergere ogni tipo di questione, timore o inquietudine, senza doversi minimamente preoccupare dello stato d’animo del professionista che la riceve.

Il counselor non usa il tempo a disposizione per parlare di sé, al contrario, rivolge tutta la sua attenzione, empatia e impegno al fine di sintonizzarsi sul mondo interiore della persona che ha di fronte, mettendosi a servizio della sua necessità di ascolto e comprensione profonda e sapendo rispettare anche gli spazi di silenzio.

Nel counseling, il professionista coglie non solo le parole dell’altro e il modo in cui vengono dette, ma anche tutto ciò che questi comunica attraverso il suo linguaggio non verbale. L’ascolto è rivolto alla persona nella sua interezza, il counselor ascolta ciò che il cliente dice e anche ciò che non dice.

E l’ascolto è solo l’inizio dello scambio, non ci si ferma qui ma al contrario, si va oltre il racconto iniziale per chiarire a fondo la richiesta di aiuto del cliente e iniziare insieme un cammino di reale soluzione del problema che porta. Il counselor aiuta la persona a fare chiarezza, innanzitutto con se stessa e con il mondo di relazioni, impegni e aspettative che ruotano intorno a lei; si prende cura di lei ma non si fa carico della sua felicità, piuttosto la aiuta a identificare le risorse per assumere su di sé la responsabilità di trovare la propria strada; è un viaggio di esplorazione di nuove consapevolezze e punti di vista; è un incontro tra due persone che stanno su un livello di parità: il cliente, che è l’unico depositario di ciò che realmente gli serve per stare bene, e il counselor che gli propone delle piste di lavoro ma non certo soluzioni preconfezionate secondo il proprio criterio.

Il counselor non ha un coinvolgimento personale con il cliente, e di conseguenza può essere autentico nei riscontri alle sue parole e stati d’animo, e nel caso in cui il problema manifestato dall’altro richiami i propri problemi personali, dispone delle risorse e dell’aiuto per metterli momentaneamente da parte e lavorarci successivamente alla fine dell’incontro.

Un altro dettaglio importante che aiuta il cliente a sentirsi al sicuro, è che il counselor è tenuto al rispetto del segreto professionale in base al codice deontologico della professione.

Per concludere, riassumiamo dunque le principali differenze tra il tipo di ascolto che si può trovare presso amici e familiari e il tipo di ascolto che caratterizza gli incontri di counseling.

Caratteristiche dell’ascolto e dell’intervento del counselorPossibili inconvenienti nel confidarsi con persone emotivamente coinvolte con chi parla (partner, famigliari, amici)
Ascolto attivo e totale.Tendenza a interrompere chi parla per esprimere il proprio punto di vista.
Accoglienza incondizionata, neutralità e sospensione del giudizio: si accoglie la persona insieme al mondo che porta.Presenza di preoccupazioni e pregiudizi.
Si stimola la persona ad attivarsi e a usare il problema come leva di crescita e rafforzamento di sé.Tendenza a voler “salvare” il proprio caro dai dolori della vita.
Fiducia nel criterio del cliente e nel fatto che saprà trovare la sua strada.Tendenza a controllare i comportamenti della persona cara tramite i consigli.
Apertura e rispetto sul fatto che possano esserci dubbi, difficoltà e resistenze da parte del cliente alle proposte di lavoro.Rischio di tensioni e malumori nel caso in cui consigli non vengono seguiti.
Sostegno incondizionato al percorso di esplorazione di sé, crescita e autonomia del cliente.Sostegno non scontato se chi parla si allontana da uno schema fisso di idee, sentimenti e comportamenti di chi ascolta
Rispetto del segreto professionale.Possibile necessità di voler condividere con altri il peso delle rivelazioni ricevute.
Il cliente è libero da ogni tipo di preoccupazione riguardo i sentimenti del counselor, dunque può essere totalmente autentico.Inibizione e controllo delle parole per il timore di ferire i familiari, di deludere le loro aspettative e di perdere il loro apprezzamento.

Se vuoi sperimentare questo tipo di ascolto e di supporto in totale libertà, per risolvere un problema o sciogliere un nodo emotivo, è facile, bastano pochi clic e non ti costerà niente. Contattami.


Bibliografia

Hough M. (1996), Counselling skills, Longman Limited, England (trad. it. Abilità di counseling, Erickson, Trento, 1999)