Quando la vita porta a misurarsi con la sofferenza e la perdita di autonomia di una persona profondamente amata, improvvisamente ci si ritrova immersi nell’essenza della condizione umana, una dimensione che l’incedere della quotidianità suole lasciare a distanza, sfocata, coperta da un velo.
Lo sguardo della persona cara e il suo bisogno, la fragilità del suo sentirsi in balìa di qualcosa di troppo grande e sua la vulnerabilità rispetto alle parole e ai gesti degli altri, generano nel caregiver una forte necessità di attivarsi per dar risposta a quel bisogno e proteggere la persona amata dalla sua stessa disperazione.
Tutto è da imparare, tutto è nuovo e tutto è troppo. Il timore e il compresente senso di colpa per la sensazione di non fare abbastanza o abbastanza bene, o al contrario di invadere i non chiari spazi di volontà e dignità del proprio caro rendono anche il caregiver fragile e vulnerabile.
Egli sta in osservazione degli effetti di ogni parola e di ogni gesto per captare i minimi segnali che indichino quale sia in ogni momento la parola, il gesto, la strada giusta per il giusto bisogno, per alleggerire, rasserenare, consolare, riaccendere quella minima fiamma che spinge l’altro a voler restare nella vita.
La dipendenza del caro bisognoso si trasforma perciò in una co-dipendenza.
L’incontro con la finitezza, la fragilità e la vulnerabilità porta con sé debolezza ontologica, e questa il dolore ontologico, quel dolore per cui, nelle parole di Luigina Mortari «il vivere è perdere possibilità di vita momento dopo momento» (Mortari, 2015, p. 60).
Questa perdita che viene vissuta sia dalla persona che si assiste sia da quella che di lei ha cura, è per entrambe una perdita di bene:
- la perdita del bene di cui fino a poco tempo prima si era goduto da parte di chi ha perso la propria salute e spazi di autonomia;
- perdita di opportunità del bene presente e futuro da parte del caregiver riguardo la libertà di scelta sul proprio esserci, e sul proprio divenire possibile, perdita del proprio campo di possibilità a cui attingere per far fiorire la sua parte migliore.
In questa fase nella vita del caregiver irrompe l’incertezza, incertezza sull’oggi e sul domani, incertezza che cancella i calendari, e che porta la persona nella dimensione di consumatore di tempo, di quel tempo necessario per realizzare il proprio progetto di vita.
Sono momenti in cui il caregiver cerca con tutte le forze di resistere al cambiamento a cui la vita chiama, resiste alla revisione di orizzonti e abitudini.
C’è un momento però a partire dal quale il tempo inizia a dare: i giorni passano e si acquisiscono nuove comprensioni della mutata situazione, si disegna una quotidianità nuova fatta di gesti di assistenza che trovano una loro naturalità e progressivamente inizia una resa allo stato di realtà.
L’impasto di dolore, amore e speranza trasforma il tempo, da mero organizzatore delle giornate a materia prima di cui è fatta la vita.
Allora proprio la dimensione dell’incertezza che al principio scardinava tutto, rende quel tempo prezioso, regalato e mai scontato; il suo scorrere rallenta e si scompone in istanti intensi, goduti, distesi, che richiamano e reclamano la massima presenza di ogni parte della persona.
Ed è in un tempo di questa qualità che ogni momento passato con la persona cara diviene prezioso e l’ascolto e la comunicazione divengono porosi, soprattutto se lui o lei non possono più comunicare in modo lucido e verbale come facevano prima.
Si affina la sensibilità, si cerca di cogliere ogni segnale nella sua purezza, si dismettono vecchie griglie interpretative e ci si avvicina alla persona amata come all’infinito (Mortari, 2015, p. 166), come se si iniziasse a conoscerla di nuovo e per davvero, sperimentando scambi di intensità e qualità sconosciute.
E in quei momenti di scambio e comunicazione privilegiata si fa esperienza di una gioia calda:
- quella della potenza della cura come disponibile presenza in chi la riceve e in chi la dà;
- quella dell’incontro tra le anime unite da una realtà nuda nella quale c’è spazio solo per l’essenza sia dell’essere vivi che dell’esserci insieme;
- quella della scoperta di gemme di vicinanza umana, intimità e amore profondo forse mai contattate in precedenza;
- quella della ricerca di un un ritmo buono per camminare insieme nel tempo (Mortari, 2015, pp. 26-27).
Si inizia ad attribuire allora un altro valore, una grandezza a tutti quei piccoli e grandi gesti di cura che restituiscono bagliori di bene, e che provengono non solo dal caregiver ma anche dal desiderio di chi sta male di continuare a essere anche lui di aiuto per l’altro, di essere ancora al suo posto nella vita e nelle relazioni.
Quell’essere l’uno per l’altra in un’attenzione e in uno scambio totali non turbato dal rumore di fondo di ciò che essenziale non è più, porta il caregiver a percepire quanto realmente, il suo darsi sia non solo un donare ma anche un ricevere, quanto esistere sia co-esistere, quanto lo stare vicino e i gesti di cura siano una ragion d’essere esistenziale di ciascuno.
In virtù dell’esperienza di cura di un proprio caro, carica di scoperte, sentimenti e apprendimenti così vasti e profondi, il caregiver si interroga, forse per la prima volta, su quale sia davvero non tanto il proprio attuale progetto di vita quanto il suo più ampio progetto esistenziale, quella tensione alla trascendenza, quel sistema di valori, priorità e scelte di senso, in base ai quali informare il proprio modo di stare nel mondo.
L’intensa esperienza dell’assistenza può diventare in questo senso un nuovo inizio per chi-ha-cura, può generare una nuova visione di sé, di ciò che è realmente importante e della vita, dal momento che, nelle parole di Heidegger, «…ognuno è quello che fa e di cui si cura» (Heidegger, 1927, p. 152).
L’aver cura può perciò trasformarsi da circostanza subita a scelta, la scelta di «… donare il tempo – la cosa più preziosa di cui disponiamo – là dove ne va del senso delle cose…» (Mortari, 2015, p. 151).
E se questa scelta permette al caregiver di stare saldo nel suo rinnovato progetto esistenziale, egli potrà aiutare ancor meglio il caro assistito a mantenere o reinventare il proprio, dando forma a quell’accezione di cura così importante che ha il compito di far fiorire l’esserci dell’altro.
Bibliografia
Heidegger, M. (1927), Essere e tempo, trad.it Longanesi, Milano, 1976
Mortari L. (2015), Filosofia della cura, Raffaello Cortina Editore