Introduzione
Nei primi decenni del secolo scorso, ci furono due eventi che, insieme, permisero un cambio di approccio riguardo il modo di interrogarsi sulle cause delle malattie. Da un lato, il riconoscimento da parte della medicina dell’impossibilità di spiegare i disturbi psichiatrici con alterazioni organiche rilevabili in laboratorio e, dall’altro, l’affermarsi di un nuovo sistema per l’osservazione e l’interpretazione del comportamento umano, rappresentato dalla psicoanalisi.
Il metodo di indagine e di cura elaborato da Sigmund Freud, permise di iniziare ad osservare delle forti relazioni tra la situazione psichica ed emotiva dei soggetti e determinate manifestazioni somatiche. Nello stesso periodo anche la fisiologia iniziava a rilevare degli automatismi di riposta del corpo ad eventi particolarmente stressanti per il soggetto, capaci di causare importanti alterazioni dell’equilibrio dell’organismo.
I tempi erano dunque maturi per mettere insieme i risultati di queste nuove conoscenze.
Nasce la Medicina Psicosomatica
La Medicina Psicosomatica nasce dal tentativo di coniugare l’approccio fisiologico delle Teorie dello Stress con l’orientamento psicoanalitico. Il suo principale esponente fu Franz Gabriel Alexander, medico e psicoanalista statunitense e fondatore negli anni Trenta del Novecento dell’Istituto di Psicoanalisi di Chicago.
Alexander dedicò la sua ricerca alla comprensione del legame fra il vissuto psichico ed emotivo degli individui e le reazioni fisiologiche con cui il corpo risponde. Partendo da fenomeni comunemente osservabili come la paura, il riso o il pianto, nei quali l’emozione viene espressa attraverso un insieme di reazioni del corpo, egli volle approfondire il modo in cui dette emozioni possono influire sui processi morbosi.
Alla base del ragionamento di Alexander vi sono i concetti di “reazione d’allarme”1 e di “Sindrome Generale di Adattamento”2. La reazione d’allarme è un automatismo di risposta presente sia negli animali che nell’uomo, che questi mettono in atto quando si trovano in presenza di un evento altamente stressante. Per esempio, a fronte di una situazione che minaccia la sua sopravvivenza, l’individuo si trova davanti alla scelta di rispondere attaccando o scappando. L’organismo risponde alla sua percezione di pericolo con modificazioni neurologiche, endocrine e funzionali (come la secrezione di adrenalina e noradrenalina, l’accelerazione del battito cardiaco, l’aumento della produzione di cortisolo, della glicemia, dell’irrorazione muscolare, lo svuotamento dei visceri, ecc.) che lo aiutano ad attuare la risposta di attacco o fuga. Una volta realizzata l’azione che permette di scaricare la tensione accumulata, il corpo recupera l’omeostasi, cioè il suo normale equilibrio fisiologico.
Il concetto di “conflitto”
Se però, di fronte a emozioni intense come paura, aggressività, senso di colpa, scatenati da un evento determinato, la persona sceglie di non reagire, reprimendo l’azione che deriverebbe da ciò che sta provando, il corpo continua nello stato di iperattivazione fisiologica visto prima senza riuscire a ritornare all’equilibrio. L’individuo vive dunque un conflitto tra ciò che vorrebbe esprimere e il modo in cui sceglie di reagire; si ha in altre parole come un blocco, una ritirata dall’azione rispetto a un impulso che, naturalmente, andrebbe in senso contrario. Si può dunque produrre, anche in virtù di una cultura sociale che condanna l’espressione delle emozioni, una tensione emotiva permanente e cronica che può arrivare a disturbare le funzioni vegetative come la digestione, la circolazione e la respirazione.
Sintomi di conversione e nevrosi vegetativa
Già Sigmund Freud aveva messo in luce i fenomeni di conversione isterica, ovvero i sintomi fisici o disordini psichici che possono svilupparsi quando conflitti emotivi radicati non possono essere espressi o sfogati attraverso le vie normali dell’attività volontaria, come la parola o l’espressione corporea. In questi casi la persona non sa darsi ragione della sua mimica, dei suoi movimenti e delle sue percezioni sensoriali in quanto lo stimolo motore è inconscio (come nel caso della risata o del pianto isterici). Obiettivo dei sintomi di conversione è dunque quello di esprimere la tensione emotiva repressa. Spesso inoltre la sintomatologia del soggetto è unica in quanto da lui “disegnata” per esprimere il suo particolare contenuto psicologico trattenuto. Il lavoro dell’operatore in questi casi consiste nell’aiutare la persona a comprendere che tipo di disagio il sintomo stia rappresentando. Una volta infatti che l’emozione inconscia diventa consapevole, sarà possibile per il soggetto trovare nuove soluzioni per gestirla, che egli stesso e la società possano considerare accettabili.
Alexander volle invece andare a indagare gli effetti della psiche sulle funzioni vitali dell’organismo, ovvero sugli organi controllati dal Sistema Nervoso Autonomo, nei quali, diversamente da ciò che accade nel sintomo di conversione, la disfunzione, chiamata nevrosi vegetativa, non è il tentativo di esprimere un’emozione, ma è la risposta fisiologica degli organi stessi al costante o periodico ritorno degli stati emotivi. Per esempio, l’aumento della secrezione gastrica dato da un forte desiderio di ricevere affetto, inconsciamente assimilato dalla persona alla necessità di ricevere cibo, non ha lo scopo di esprimere l’emozione ma è unicamente la preparazione dello stomaco alla ricezione del cibo. La logica che unisce la tensione emotiva al sintomo è dunque di tipo funzionale, non simbolico.
Dal conflitto al sintomo
Gli studi dell’Istituto di Psicoanalisi di Chicago e di numerosi altri studiosi chiarirono negli anni l’importanza dei fattori emotivi in una notevole varietà di disturbi e verificarono come in un gran numero di casi la psicoterapia, agendo in quanto terapia eziologica, potesse portare al miglioramento dei sintomi se non alla risoluzione del problema.
Mentre nell’intervento dei sintomi di conversione si va alla ricerca del simbolismo racchiuso nel disturbo, il quale è specifico per ogni persona, nella nevrosi vegetativa, la Medicina Psicosomatica ha potuto individuare delle situazioni emotive comuni a un gran numero di soggetti affetti da disturbi come l’ipersecrezione gastrica, l’ipertensione essenziale, l’asma bronchiale, il diabete, l’eczema, l’artrite reumatoide ed altri ancora.
Normalmente però non è sufficiente un’emozione di fondo per scatenare il sintomo, ma a questa debbono aggiungersi delle scelte realizzate dalla persona (normalmente delle reazioni difensive dell’Io) che la mantengano in uno stato di frustrazione e un evento scatenante che puntualmente o periodicamente portino a un’esasperazione della sua sensazione di insoddisfazione.
L’esempio dell’ipertiroidismo
Nel caso dell’ipertiroidismo per esempio, la presenza di un trauma nel periodo precedente all’insorgenza del disturbo, è stata osservata in un grandissimo numero di soggetti. La situazione psicodinamica più frequente e la seguente. Si tratta normalmente di situazioni nelle quali durante l’infanzia o la fanciullezza:
- l’individuo ha vissuto una sensazione di grave minaccia alla sua sicurezza, sia per il pericolo di morte dei genitori (molti soggetti che soffrono di ipertiroidismo hanno perso un genitore in tenera età) o per una relazione conflittuale tra di loro, per problemi mentali di uno di essi, violenza, gravi problemi economici, nascita dell’ennesimo fratellino;
- data la situazione, i desideri di dipendenza (ovvero di ricevere amore, protezione ed attenzioni) venivano frustrati in quanto la situazione non permetteva al bambino di chiedere aiuto ai propri genitori;
- la strategia di reazione è quella di identificarsi con il genitore verso il quale si manifesta il desiderio di dipendenza;
- il bambino prova a vincere la propria insicurezza maturando più precocemente della sua età assumendo responsabilità tra le più temute e certamente più grandi di lui (come per esempio allevare i fratellini).
Data l’influenza della tiroide sui processi di crescita del bambino, si è cercato di mettere in relazione l’iperattività di questa ghiandola con il manifesto bisogno del soggetto ipertiroideo di maturare più in fretta. Questa pseudo-maturità porta a un affaticamento tale da creare uno scompenso quando le circostanze della vita portano la persona a non reggere più tale sforzo di autosufficienza e altruismo.
Strategie di reazione e salute
Secondo Alexander non è perciò la “personalità” del soggetto ad influire sul disturbo, ma sono cruciali le scelte di vita che egli concretamente realizza: se a fronte di un bisogno di ricevere amore, di una sensazione di fragilità, la persona non reagisce creandosi obiettivi più sfidanti di quelli che realmente possa sopportare, non si determineranno le condizioni che conducono all’ipertiroidismo. Queste dimostrazioni portano il medico moderno a dover “dare ai conflitti emotivi un valore altrettanto reale e concreto come quello attribuito ai germi patogeni” (Alexander, 1950, p.37).
La Medicina Psicosomatica mette dunque l’accento sull’origine psicogena di molti disturbi. La sua proposta di intervento unisce il controllo sintomatico a un lavoro di tipo psicologico ed emozionale, che tenga in contro il contesto biopsicosociale nel quale la persona si muove e che possa interrompere i circoli viziosi alla base della somatizzazione.
Cos’è la “malattia psicosomatica”?
Originariamente la psicoterapia fu utilizzata per i disturbi psicogeni di carattere “funzionale”, ovvero non accompagnati da lesioni anatomiche dimostrabili, al contrario dei disturbi di tipo “organico”. La natura però non fa distinzioni tra “funzionale” ed “organico” e i clinici scoprirono gradualmente che le prolungate alterazioni funzionali potevano portare a lesioni tissutali irreversibili e dunque a un quadro di grave malattia organica. Accurati studi psicologici e fisiologici mostrarono che la nevrosi gastrica (ovvero un’ipersecrezione di succhi gastrici) poteva portare all’ulcera peptica e che la fase “funzionale” dell’ipertensione (caratterizzata da aumenti puntuali e temporanei della pressione arteriosa) può, col tempo, provocare vere e proprie alterazioni vascolari dando origine a un’ipertensione arteriosa irreversibile.
Non sempre dunque la malattia inizia come un problema organico che dà luogo a una disfunzione vegetativa ma è spesso proprio l’iniziale alterazione di funzione che può portare al problema di organi e tessuti. La definizione di “malattia psicosomatica” non può essere dunque attribuita solo alle malattie per le quali non si trova un’evidenza medica che le spieghi, supponendo di conseguenza dunque che il principale fattore eziologico sia di origine psicologica. L’importanza relativa dei fattori psichici e somatici inoltre varia da caso a caso. L’esposizione al bacillo di Koch non causa automaticamente la tubercolosi, in quanto la risposta immunitaria può essere influenzata da fattori emotivi. Solo la coesistenza di fattori emotivi e somatici può dar ragione dello sviluppo della malattia in un particolare soggetto.
Alexander sostiene dunque che:
“Teoricamente ogni malattia è psicosomatica, poiché i fattori emotivi influenzano ogni processo del corpo umano attraverso le vie neuro-umorali. I seguenti fattori possono avere importanza etiologica in una malattia:
- costituzione ereditaria;
- traumi legati alla nascita;
- malattie organiche dell’infanzia che aumentano la vulnerabilità di determinati organi;
- esperienze di traumi fisici accidentali della prima e seconda infanzia;
- natura delle cure cui il bambino è stato sottoposto (abitudini di svezzamento, d’igiene, modo di dormire, ecc.);
- clima emotivo della famiglia e tratti specifici della personalità dei genitori e dei fratellini lattanti;
- lesioni fisiche successive;
- esperienze emotive successive d’intime relazioni personali e di relazioni di lavoro.
Questi fattori, in proporzioni diverse, hanno importanza eziologica in tutte le malattie” (Alexander, 1950, pp. 41-42).
La psicosomatica ha aggiunto gli ultimi quattro punti agli altri già tenuti in conto dalla medicina. Conoscere ciascuno di essi in modo completo e preciso così come le loro interrelazioni è ciò che permette di avere un quadro eziologico completo del caso.
L’approccio psicosomatico alla salute
L’insieme di queste scoperte rese evidente la validità dell’approccio psicosomatico, ovvero di un metodo d’indagine per identificare le sequenze causali che permettono di giungere all’eziologia della malattia, alla diagnosi e alla terapia con applicazione simultanea e coordinata di metodi e concetti somatici (cioè fisiologici, anatomici, farmacologici, chirurgici, dietetici) e psicologici. È dunque necessario conoscere l’individuo nella sua interezza prima di poter passare all’intervento.
Un’impostazione di questo tipo impone necessariamente una stretta collaborazione tra psicoterapeuta e medico, i quali devono entrambi essere consapevoli delle relazioni tra il mondo psichico ed emozionale della persona e le sue risposte organiche. Bisogna tenere infatti in conto che l’avvicinamento all’emotività profonda del soggetto, può portare a un aumento della tensione emotiva, la quale può a sua volta esacerbare la sintomatologia clinica. L’intervento si muove dunque a cavallo tra il controllo sintomatico e la valutazione della giusta misura con cui l’intervento del psicoterapeuta può essere riferito alle diverse persone.
La conoscenza della relazione tra dinamica emotiva e sintomo inoltre, permette al terapeuta di identificare subito il cuore del problema, rendendo possibile l’ottenimento di buoni risultati in un numero contenuto di incontri.
Conclusioni
L’essere umano è un’unità inscindibile formata dalle sue varie dimensioni corporea, psichica, emotiva, spirituale. Egli è inoltre influenzato dalle condizioni ambientali che deve fronteggiare dall’infanzia fino all’età adulta, dai suoi desideri, dai suoi impulsi, dall’ideale di sé e dai suoi conflitti interiori. Tutto questo viene, in presenza di determinate condizioni, riflesso dal suo corpo attraverso cambiamenti della fisiologia e del funzionamento dei sistemi endocrino e immunitario, facendo di lui un’entità complessa in cui ogni aspetto può potenzialmente riflettersi, sul suo stato di salute. Ogni malattia può dunque essere considerata “psicosomatica”.
La Medicina Psicosomatica realizza un primo passo per rifondare la medicina in un senso che tenga conto di questa complessità nell’identificazione dello schema causale di una malattia, nell’effettuazione della diagnosi e nell’elaborazione delle cure. La conoscenza condivisa delle relazioni causali tra psiche e corpo e la stretta collaborazione tra medico e psicoterapeuta diventano dunque gli elementi fondamentali per poter realizzare un modello di assistenza disegnato realmente sulle esigenze del malato.
Per approfondimenti sulle altre discipline fautrici di un approccio olistico alla salute, vi rimandiamo alla pagina Psicosomatica.
Bibliografia
Alexander F. G. (1950), Psychosomatic Medicine, W. W. Norton & Company, New York (trad.it. Medicina Psicosomatica, Giunti-Barbera, Firenze, 1951).
Note
1 Walter Bradford Cannon, fu uno tra i maggiori fisiologi statunitensi della prima metà del Novecento, anni nei quali fu a capo del Dipartimento di Fisiologia dell’Harvard Medical School. I suoi studi identificarono l’insieme di cambiamenti fisiologici che intervengono nel corpo a seguito di una situazione nel quale l’individuo si trova nella situazione detta di “attacco o fuga” ed elaborò ulteriormente il concetto di omeostasi dall’idea iniziale di Claude Bernard.
2 La Sindrome Generale di Adattamento fu una teoria elaborata da Hans Selye fisiologo ed endocrinologo di origini austriache lavorò soprattutto nelle università di Montréal tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Selye cercò di sistematizzare la teoria di Cannon anzitutto definendo lo stress non come condizione patologica di per sé, quanto piuttosto come “la risposta non specifica” dell’organismo a ogni richiesta di cambiamento”, all’interno di una sindrome (General Adaptation Syndrome o GAS). La GAS costituisce il principio intorno al quale si svilupparono nel secolo scorso le Teorie dello Stress.