La reazione attiva di fronte alla malattia

Nell’articolo “La reazione passiva di fronte alla malattia”, ho analizzato una modalità di risposta piuttosto comune che le persone mettono in atto a seguito dell’annuncio di un problema di salute di una certa importanza. Detta modalità di reazione è caratterizzata dalla sensazione di essere in balia di una sorte avversa, nella quale io non ho alcuna responsabilità, alla quale non è possibile attribuire un significato e su cui non è pensabile esercitare alcun tipo controllo. La mancanza di comprensione profonda di ciò che sta succedendo nel proprio corpo, il quale viene improvvisamente percepito come una minaccia e non più parte di sé, unita a delle cure proposte dai medici ma non attivamente scelte dalla persona, sono tutti fattori che le fanno vivere un periodo di difficoltà, come quello rappresentato dalla malattia, da una posizione di debolezza e passività.

La frequenza di questi tipi di reazioni è favorita da una concezione della malattia che ha come unico punto di attenzione il corpo e dalla quale l’incidenza sul piano fisico di qualunque variabile di tipo psichico viene esclusa.

Psiche e corpo: le due facce della medaglia della salute

In realtà la psicosomatica ha ampiamente dimostrato come il benessere psicofisico sia il risultato della dinamica tra i vissuti emotivi delle persone e le corrispondenti reazioni organiche, per cui non è più possibile ignorare queste interdipendenze cruciali nella spiegazione delle cause delle malattie così come nel potenziamento dei processi di guarigione.  Ha inoltre rivelato come le aspettative positive sulla malattia, l’attaccamento alla vita e il ruolo attivo della persona nella gestione dei propri problemi e bisogni siano strettamente correlati con il recupero della salute.

Ogni persona è unica

Nel momento in cui il peculiare modo di ciascuno di percepire gli eventi della vita e di reagirvi fa il suo ingresso sulla scena della salute, non è più possibile accomunare le persone per etichette diagnostiche ma ogni individuo avrà un problema con una storia e delle possibilità di evoluzione diverse da quelle di tutte gli altri. Di conseguenza, le informazioni statistiche degli studi sui fattori predisponenti, il decorso e la speranza di vita di una certa patologia, rifletteranno non più una rappresentazione fedele della realtà bensì quello che esprimono veramente e cioè una media riguardo la relazione tra due variabili (per es. consumo di alcool e cirrosi epatica), relative a un campione di pazienti che non ha niente a che vedere con noi.

Rimettersi al centro

Il fatto di essere parte in causa nel nostro stato di salute, apre alla possibilità che ci sia un modo diverso di vivere e gestire il periodo di malattia, nel quale il soggetto si senta al centro della catena di eventi che lo ha portato alla situazione attuale così come di ogni decisione riguardante la sua vita che dovrà prendere da oggi in avanti. Se è lui a decidere può inoltre percepire di essere più “in controllo”, grazie alla messa in moto di quei meccanismi di forza interiore che a loro volta vengono somatizzati, favorendo così il ritorno all’equilibrio dell’organismo.

Capire per scegliere

Se io ritengo di essere chi realmente decide per la mia salute, dovrò procurarmi tutte le informazioni necessarie per poter effettuare una scelta con la massima serenità. Vorrò capire, con l’aiuto del medico, esattamente quali dinamiche stiano interessando i miei organi e i miei tessuti, distinguendo i fatti oggettivamente osservati (per es. esami del sangue, diagnostica per immagini, etc.) dall’interpretazione degli stessi (per es. referti delle diagnosi, prognosi) per potermi formare un’idea della reale serietà della situazione. Avere informazioni precise riguardo i fenomeni in corso nel mio corpo, sarà inoltre fondamentale per risalire, tramite l’aiuto di un consulente specializzato, al sentito emotivo che può avermi portato a questo problema di salute.

Successivamente riceverò dagli specialisti delle proposte di cura e anche in questo caso, vorrò capire che cosa implicano i vari trattamenti, quali sono i benefici attesi e i probabili effetti collaterali. E siccome so che i protocolli terapeutici scaturiscono dai risultati di studi che, soprattutto nel caso dei farmaci, tendono a omettere i risultati più negativi e a sottovalutare gli effetti collaterali (soprattutto nel medio e lungo termine), valuterò personalmente quale peso possano avere queste informazioni. Naturalmente, chiederò più di un parere, se non sono convinto delle spiegazioni ricevute fino ad ora, fino ad ritenermi totalmente soddisfatto.

L’importanza della scelta del terapeuta

Avendo bisogno di una grande quantità di informazioni per capire in che “paesaggio” mi sto muovendo, sceglierò i medici e/o altri tipi di operatori che siano disponibili ad ascoltarmi e ad aiutarmi nella mia scelta sul da farsi senza cercare di imporre la loro visione e che siano in grado di rispettarmi se prendo delle decisioni sulle quali essi non concordano. A volte, quando la persona rifiuta il percorso terapeutico proposto, i medici reagiscono con grande preoccupazione, paventando i rischi di un probabile peggioramento del suo stato. Questa situazione produce in lei uno stato di angoscia dato dal trovarsi intrappolata tra una cura che non condivide, la paura di essere messa a margine dallo staff medico di riferimento e la possibilità che si verifichi il crollo della situazione preannunciato.

Naturalmente è molto importante ascoltare le ragioni dei medici, ma voglio capire su che elementi di sostanza si fonda la loro preoccupazione. Per esempio, da dove viene la convinzione che se io non faccio la chemioterapia che mi propongono, la malattia si diffonderà e in tempi molto più brevi? Che prove ci sono a riguardo? Quali evidenze scientifiche esistono che, data la mia situazione specifica, avrò dei problemi di circolazione se ometto di prendere statine per il resto della mia vita? Di quanto dovrebbe aumentare mio rischio? E inoltre, chi può assicurarmi che i benefici delle cure non saranno sovrastati dagli effetti collaterali che queste possono dare nel medio e lungo termine?

Certo la ricerca di informazioni non è un percorso facile e assumere un ruolo centrale in una situazione in cui si è abituati al fatto che chi sta male si sottometta alle terapie con tanta speranza ma poche domande, può spesso voler dire andare controcorrente. Questo può risultare faticoso, specie in un momento in cui le nostre energie sono messe alla prova e in cui vorremmo essere accolti e accuditi con umanità e rispetto. Una relazione serena e trasparente di confidenza, e fiducia con il terapeuta è tra i fattori che maggiormente rinforzano le aspettative positive della persona, che tanti benefici apportano nel processo di guarigione, qualunque sia il tipo di cura scelto.

La vita in primo piano

Questo sforzo però vale la pena. Vale la pena perché sono io a cercare la soluzione al mio problema, sono dunque forte, attivo e vivo in questo percorso, sono responsabile. Non ho troppo tempo da spendere a piangermi addosso perché devo agire. Certo che a volte la paura e lo sconforto hanno la meglio, ma si tratta di momenti di breve durata se riesco a portare in primo piano il fatto che molte delle paure sono solo pensieri senza radici, che è solo una parte del mio corpo a stare male mentre il resto sta bene e, soprattutto che io, in questo momento, sono vivo.

La mia vita non viene messa in sospeso ma continua anche nella gestione del problema di salute. Non si ferma ma si trasforma la mia voglia di fare; non si fermano i miei progetti, che certo possono essere rimodulati in base alle mie nuove esigenze; non cambia il mio ruolo in famiglia, anzi dato che ora ho più bisogno dei miei cari e del loro aiuto, possiamo regalarci tutti molta più intimità e intensità nei rapporti; non cambia la sensazione di me che provo tra amici e colleghi e se io trasmetto vitalità, forza e fiducia, anche gli altri faranno fatica a vedermi nell’identità di “malato”.

Camminare verso una nuova direzione

E una volta gestita l’emergenza, chiarita la situazione nel mio corpo e scelte con convinzione le terapie, allora potrò iniziare a chiedermi da dove è venuto tutto questo, qual è stato il percorso di vita che mi ha portato fino al mio specifico sintomo. Potrò dare alla mia malattia un senso, un posto nel mio personale racconto, potrò utilizzarlo come leva per iniziare qualcosa di nuovo. Potrò prendermi cura della parte emozionale della questione, essendo così sicuro di fare veramente tutto il possibile per attivare i meccanismi che mi riportano verso la salute.

So che il mio corpo è il mio più potente alleato e mi rivolgo a lui come una parte di me da trattare con amore, perché il problema di oggi viene dai suoi tanti tentativi di reggere a quei disagi chiusi da tempo dentro un cassetto, che da oggi in avanti guarderò in profondità. Voglio arrivare all’essenza di quei bisogni profondi che non ho rispettato e fare dei cambiamenti reali nella mia vita che mi permettano di realizzarmi per quel che sento di essere veramente, per quel che ritengo davvero importante.

Ed è questa coerenza fra chi siamo e come viviamo che crea la via della salute.


Nota: il Counseling non è psicoterapia, né un intervento di cura o un’attività sanitaria. Il Counseling è una professione disciplinata dalla Legge n. 4 del 14 gennaio 2013.

Foto di Thomas B. da Pixabay

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