A tutti noi sarà capitato di ricevere una richiesta di aiuto o di offrire il nostro sostegno a qualcuno più o meno vicino, in famiglia o tra amici. C’è poi chi decide di occuparsi degli altri in modo professionale: medici, terapeuti delle medicine complementari, psicoterapeuti, counselor, educatori, insegnanti, assistenti sociali, volontari, solo per citarne alcuni dei profili attivi nel campo della relazione d’aiuto.
Naturalmente ci sarà una differenza importante tra il fatto di essere di supporto per un familiare o un amico e quello di esserlo invece per un estraneo. Il fattore differenziale risiede nel coinvolgimento personale: se voglio aiutare mia madre o un caro amico, sarà la stessa idea che ho di me a dipendere da ciò che sarò capace di fare per loro, e sarà in gioco anche la mia felicità, perché io non potrò essere serena se non lo saranno anche loro. Mi sento dunque emozionalmente coinvolta e questo accentuerà il mio senso di urgenza a responsabilità, mentre una persona esterna alla cerchia degli affetti, potrà vedere le cose in modo più obiettivo e delineare una più lucida strategia di azione.
Se per esempio mia madre è profondamente angosciata perché mio fratello è stato licenziato, io non sarò probabilmente molto capace di sostenerla, perché condivido la sua stessa preoccupazione, temo che mio fratello potrebbe demoralizzarsi e a quel punto non saprei proprio come aiutarlo. E questo accade anche ai professionisti della relazione d’aiuto che possiedono conoscenze e strumenti specifici: se sono un terapeuta, sarà infatti molto difficile per me occuparmi direttamente dei miei familiari. La paura di sbagliare o di non riuscire a risolvere il loro problema di salute, psicologico o emozionale e i sensi di colpa conseguenti potrebbero essere davvero importanti e farmi perdere lucidità. Mi sentirò probabilmente più serena se lascerò che sia un collega a occuparsi di loro.
Ma aiutare non vuol dire necessariamente contribuire a risolvere in modo diretto i problemi altrui. Alcune volte il tipo di aiuto che ci viene richiesto è estremamente concreto, come fare la spesa, cucinare, sbrigare commissioni negli uffici pubblici, andare a comprare delle medicine, ma in altri casi ci viene chiesto di essere semplicemente di compagnia, di fare due chiacchiere, di ascoltare.
Esserci per l’altro
Una grande parte del sostegno che possiamo dare a un’altra persona consiste semplicemente nell’esserci, essere lì per lei nel momento in cui si sente particolarmente fragile, confusa o angosciata, per permetterle di esprimere ciò che ha dentro e di accogliere le sue emozioni. La possibilità di sfogarsi è infatti liberatoria e dopo che una persona ha vuotato il sacco dei pensieri negativi e delle emozioni che li accompagnano, si sente normalmente molto più leggera e in pace, nonostante al di fuori di lei niente sia materialmente cambiato. È pronta per ricaricarsi e, come abbiamo visto quando abbiamo parlato della bilancia emozionale, quando siamo più carichi diventa più semplice riconoscere e attribuire importanza a ciò che va già bene nella nostra vita; riusciamo a vedere i problemi ridimensionati; ritroviamo la creatività e iniziamo a individuare nuove soluzioni dove prima vedevamo solo disperazione e impotenza.
Restare su un livello di parità
Cosa può fare in modo che chi chiede il nostro sostegno si senta veramente “al sicuro” con noi? Sicuramente la sensazione che la relazione possa svolgersi su un piano di parità (tra noi non c’è uno che è meglio dell’altro, che ne sa più dell’altro o che in qualche modo si pone al di sopra dell’altro) e la certezza che le parole e le emozioni che si esprimeranno verranno semplicemente accolte senza giudizio. Aprire al modo di essere della persona che ci sta di fronte così com’è, esimendoci dal valutare e giudicare ciò che dice col nostro metro intellettuale e morale, è una delle cose più difficili da fare. Il fatto di provarci può però portarci in dono una sorpresa, perché se nel tempo riusciremo a non giudicare gli altri, a lasciarli liberi di essere come sono, inizieremo a essere progressivamente più indulgenti anche verso noi stessi.
Aiutare l’altro a capirsi più a fondo
Spesso chi ha bisogno di sfogarsi su questioni che si trascinano da tempo, si dibatte dentro a un groviglio di emozioni e pensieri negativi dai quali non riesce a uscire perché il suo punto di vista sulla questione è sempre lo stesso. Possiamo dunque aiutare chi chiede di essere ascoltato a comprendere più in profondità ciò che le accade. Una strada per poterlo fare è restituire a lui o lei ciò che sta esprimendo, per esempio sottolineando cosa sembra essere molto importante o facendo emergere l’emozione che sottostà alla sua narrazione. Facciamo qualche esempio.
Marzia è demoralizzata nei confronti del marito e si sfoga con la sua amica Giulia.
«Carlo non è mai a casa, è sempre fuori a lavorare 12, 14 ore al giorno e quando torna i bambini già dormono e lui non li sta vedendo crescere. Arriva troppo stanco per raccontarmi qualcosa o fare qualunque cosa insieme, ci stiamo allontanando. Ho la sensazione che noi non contiamo per lui».
Forse Giulia avrebbe la tentazione di rispondere in automatico nel tentativo di “spegnere l’incendio”.
«Ma dài, non è vero che non contate niente per lui, anzi, se sta lavorando tanto è perché vi vuole bene e vuole che abbiate tutto ciò che desiderate». Quest’osservazione probabilmente non aiuterà molto Marzia perché:
- Marzia avrà già pensato mille volte che il marito lavora tanto per la famiglia, ma se oggi dice che sente di non contare per lui, probabilmente quel discorso non suona più convincente
- nel momento in cui Giulia, pur nel tentativo di sminuire il problema, avanza in difesa di Carlo, Marzia viene messa in condizione di dover difendere il suo lamento e la sua percezione dolorosa delle cose, i quali non vengono accolti dall’amica. In tal modo, anziché riuscire a sfogarsi, sente che il suo conflitto interiore si acuisce insieme al suo senso di solitudine. Marzia non si sente compresa e si chiude.
In alternativa, Giulia potrebbe appoggiare la visione di Marzia dicendo «Hai ragione, vi trascura e se continua così ti perderà. Dovresti dargli un ultimatum». In questo caso Marzia:
- probabilmente si sentirebbe compresa
- percepirebbe però che il suo problema con il marito è veramente serio e che le alternative che si aprono sono del tipo “o tutto o niente”, il che la mette sotto pressione
- potrebbe sentire che l’amica esagera e dà consigli non richiesti, nel qual caso Marzia potrebbe anche passare a difendere il marito ma il suo problema resterebbe tale e quale.
Marzia in realtà non sta cercando soluzioni, sta chiedendo all’amica solo di essere ascoltata.
Per agevolare Marzia, Giulia potrebbe:
- riproporre qualche concetto espresso da Marzia sincerandosi con lei di aver capito bene «Dunque Carlo lavora tanto e torna stanco morto e non riuscite neanche a parlare di cosa avete fatto durante la giornata, è così?»
- mettere in evidenza l’emozione che sta sotto le parole di Marzia dicendo qualcosa come «Carlo ti manca molto vero?»
- aiutare Marzia a capire il suo reale bisogno «Ma tu cos’è che desideri veramente?»
- accompagnare l’amica a trovare le proprie soluzioni ai suoi bisogni «Che cosa potreste fare tu e Carlo per avere un po’ di tempo per voi e per i bambini?»
- portarla da una posizione passiva nella quale ogni soluzione deve venire da Carlo a una posizione attiva «Cosa potresti proporre a tuo marito?».
In questo modo Marzia può esprimere ciò che ha dentro senza la paura di essere giudicata e, sentendosi compresa, può aprire alle parole di Giulia che la aiuteranno a chiarire a se stessa le sue necessità e a trovare una propria via d’uscita.
Ognuno di noi è infatti l’unico che può sapere quali sono le soluzioni adatte a sé. I consigli esterni, anche se richiesti, spesso non vengono seguiti perché provengono da chi è “altro da me”, da una persona che ha un modo di sentire, di percepire il mondo e un sistema di valori diversi dai miei. In una parola “tu non sei me e dunque non puoi sapere che cosa è davvero giusto per me”.
Empatia
Un altro elemento capace di far sentire Marzia al sicuro è la reazione empatica dell’amica, ovvero la percezione che Giulia si senta toccata dalla situazione e dal dolore che lei esprime. L’entrare in risonanza con l’emozione dell’altro durante un momento di condivisione non vuol dire però farsi carico del suo problema fino al punto di confondere la mia vita con la sua.
Giulia potrebbe dire a Marzia «Certo deve essere molto duro per te passare tutto questo tempo da sola».
Permettersi di sentire ed esprimere i propri sentimenti
Naturalmente la comunicazione tra Marzia e Giulia sarà efficace se entrambe saranno presenti a se stesse, cioè consapevoli di ciò che stanno provando e se potranno esprimere ciò che vivono e pensano in modo trasparente. Se infatti una o ciascuna di esse cercasse di occultare ciò che sente, magari dietro frasi di circostanza, probabilmente l’altra intuirebbe che l’intimità si sta bloccando da qualche parte e con essa finirebbe la disponibilità a lasciarsi andare a confidenze.
Ognuno di noi ha antenne sensibilissime verso il linguaggio non verbale del proprio interlocutore, la sua energia e le sue intenzioni. Se le parole che l’altro dice non sono coerenti con ciò che esprime con il volto, gli occhi, il corpo e con ciò che emana, la comunicazione solitamente si raffredda in quanto vengono meno la fiducia e la disponibilità a mostrare la propria interiorità. Ciascuno corre quindi a proteggersi dietro l’idea che vuole dare di sé e l’intimità batte in ritirata.
È possibile che Giulia non sia d’accordo con Marzia sul fatto che Carlo non dia importanza alla famiglia. Sarebbe importante che potesse esprimerlo in modo autentico ma al tempo stesso non giudicante nei confronti di Marzia. Se usasse una frase come «Non è vero che Carlo vi trascura, lui fatica tanto per il vostro benessere e sei tu che non riesci a vederlo» Marzia si sentirebbe accusata anziché appoggiata. Se invece Giulia riuscisse a esprimere solo il suo sentire, dicendo per esempio «Quando dici che tu e i bambini non contate per Carlo, sento come un dolore. Vi conosco da tanti anni e non lo percepisco così, anzi», potrebbe aprirsi uno spazio di riflessione per Marzia senza creare occasioni di incomprensioni e ostilità.
Lo spazio di silenzio
A volte l’espressione di un’emozione intensa o la necessità di una riflessione profonda richiedono uno spazio di silenzio. È importante percepire quando è il momento di lasciare spazio all’altro accompagnandolo semplicemente con una presenza partecipe ma senza parole. Non sempre il silenzio è segno di imbarazzo, soprattutto nel momento in cui qualcuno ci chiede aiuto. A volte costituisce una necessità di intimità che per l’altro è cruciale e fortemente generativa.
In conclusione si può essere di supporto semplicemente con un ascolto partecipativo nel quale:
- rimandiamo alla persona i concetti per lei importanti e le emozioni che sta comunicando
- restiamo su un piano di parità
- non giudichiamo ciò che esprime ma lo lasciamo scorrere
- le esprimiamo il nostro appoggio
- cerchiamo di aiutarla a chiarire che bisogno chiede di essere soddisfatto
- evitiamo di dare consigli
- la aiutiamo a trovare le sue soluzioni
- restiamo presenti ai nostri sentimenti e li esprimiamo in modo sincero
- rispettiamo i silenzi.
Se vuoi approfondire l’argomento o valutare come potresti essere realmente d’aiuto in una situazione delicata, contattami.
Bibliografia
Di Fabio A. (1999), Counseling. Dalla teoria all’applicazione, Giunti, Firenze
Rogers, C. R. (1980), A Way of Being, Houghton Mifflin Company, Boston (trad. It. Un modo di essere, Giunti Psychometrics, Firenze)
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