Come essere sicuro di essere d’aiuto?

Dare una mano è considerato qualcosa di naturalmente positivo dalla maggior parte delle persone. Non sempre però l’offerta o il gesto di aiuto vengono accolti di buon grado, è possibile infatti che questi arrivino in una forma o in un momento che non li rende graditi chi li riceve.

Chiarire la richiesta

A volte l’entusiasmo nel volerci rendere utili è così forte da farci dimenticare che la nostra percezione delle cose può essere diversa da quella dell’altro: pensiamo che il nostro gesto verrà sicuramente apprezzato e non ci curiamo di controllare prima l’opinione di chi sta dall’altra parte.

Se per esempio torno a casa e trovo mia sorella Laura che piange sconsolatamente perché è stata licenziata, in me si accende immediatamente la voglia di fare qualcosa per lei, perché non posso sopportare di vederla così avvilita. Normalmente avrò anche un’idea di cosa potrebbe farle bene, che generalmente coincide con ciò che ha fatto stare meglio me in un simile frangente, per esempio chiamare qualche amico, andare a cena fuori e bere uno o più bicchieri di buon vino. Cerco dunque in ogni modo di invogliarla a vestirsi, a uscire di casa per distrarsi un po’ dai cattivi pensieri. Lei all’inizio dice che non se la sente, ma io sono così convinta che interpreto la sua negativa come incertezza. Sicura di poterla convincere insisto e contesto tutti i motivi che lei adduce per voler restare a casa e da sola. Alla fine non sapendo più cosa fare per essere lasciata in pace, Laura inizia a rispondere in modo aggressivo, io mi sento ingiustamente maltrattata e me ne vado. Come risultato lei riesce a restare da sola finalmente, ma ora ha una ragione in più per cui sentirsi di malumore. E anche io.

Situazioni del genere si creano quando chi vuole aiutare è preso dall’urgenza del proprio bisogno di sentirsi utile o di vedere l’altro rasserenarsi; sente che deve risolvere la situazione subito e a modo suo e questo lo porta a sostituirsi all’interessato, che resta pur sempre il primo responsabile di trovare una soluzione al proprio problema.

Tornando all’esempio precedente, tutto ciò non sarebbe successo se avessi fatto a Laura una domanda che non siamo abituati a porre e cioè «Come potrei esserti d’aiuto in questo momento?». Magari ciò di cui Laura ha bisogno è una cosa semplice e a cui io non penso, come che le porti un bicchiere d’acqua. Potrei anche chiederle se preferisce stare da sola o in compagnia, ma in tutti i casi è lei che sceglie. Se è la persona a cui mi rivolgo a chiarire le proprie necessità, è molto più probabile che ciò che io farò le sarà veramente d’aiuto.

Dunque il primo passo è chiarire la sua richiesta.

Questa precauzione è particolarmente importante quando vogliamo aiutare chi si trova in una situazione di fragilità fisica, economica o di altro tipo a causa della quale la sua autonomia è già in potenza fortemente limitata. In casi simili, è frequente che ogni gesto che la persona fa senza chiedere aiuto abbia la valenza di una conquista. Se per esempio si sente molto debole e ha bisogno di un aiuto per lavarsi e vestirsi, il fatto che, seppur con fatica, riesca a farlo da sola, sarà per lei un grande risultato che la renderà felice e potrà restituirle un po’ di fiducia in se stessa, un po’ di speranza. Se un amico può pagarsi da sé una gita fuori porta ne sarà felice e le mie insistenze per invitarlo, anziché fargli piacere lo offenderanno e lo faranno sentire a disagio, come se avesse qualcosa in meno rispetto agli altri.

In casi del genere, se la volontà di chi è in difficoltà non viene ascoltata e rispettata, c’è il rischio che l’individuo percepisca che si stia ledendo la sua dignità, la quale risiede nel conservare per lo meno la capacità di decidere per sé. Se non si ha più neanche quella, come a volte capita quando una persona è gravemente malata o anziana, ci si sente in completa balia degli eventi e delle decisioni altrui. È un po’ come non esserci già più e questo potrebbe portare a una profonda demoralizzazione e minare la voglia di vivere di chi patisce una simile situazione.

È importante dunque che la richiesta venga espressa da chi ha bisogno di noi. E se la sua richiesta è generica, possiamo tranquillamente fare domande di specificazione per chiarire a noi stessi e all’altro che cosa materialmente vorrebbe che facessimo per lui o lei.

Se una persona che accudisco sta male e mi chiede di mettere in ordine la casa, io potrò chiederle che cosa intende per “mettere in ordine”. Per me infatti quell’espressione vuol dire rimettere le cose negli armadi, ma magari per lei vuol dire spolverare e pulire i pavimenti o tutto queste cose insieme. Più abbiamo le idee chiare su cosa l’altro desidera e più il nostro aiuto sarà soddisfacente. Non sarà dunque di troppo chiarire oltre al “cosa” e al “come”, anche il “dove”, il “quando” e “in quanto tempo”.

Saper ricevere

Può succedere che, anche nei casi nei quali la richiesta sia stata chiarita, il modo in cui portiamo a termine il nostro compito non sia ritenuto soddisfacente da chi ci ha chiesto una mano. Per esempio chi ci ha chiesto un aiuto nei lavori domestici potrebbe lamentarsi del fatto che abbiamo cambiato la disposizione delle cose o che non abbiamo stirato le camicie come avrebbe fatto lui o lei. In questo caso, è possibile che non ci costi niente accogliere queste osservazioni e accontentare chi le ha fatte, oppure possiamo trovarle ingiustificate, se ci siamo spesi senza riserve. Nessuno fa le cose nell’esatto modo in cui lo faremo noi perciò è necessario saper anche ricevere, ovvero apprezzare ciò che gli altri fanno per noi anche se lo eseguono in modo diverso dal nostro. Dare e ricevere è sempre uno scambio in cui è importante che ognuno metta qualcosa di sé.


Nota: il Counseling non è psicoterapia, né un intervento di cura o un’attività sanitaria. Il Counseling è una professione disciplinata dalla Legge n. 4 del 14 gennaio 2013.

Bibliografia

Kaspar, C. (2018), Il metodo Simonton anticancro, Feltrinelli Editore, Milano.

Foto di Mick Haupt da Unsplash

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