Aspettative negative ed effetto nocebo

Preoccupazione

Negli articoli precedenti abbiamo descritto gli effetti psicologici e fisiologici che speranza a aspettative positive posso avere sui processi di guarigione. È però necessario, al fine di avere una visione d’insieme di questi meccanismi, fornire qualche dettaglio in più rispetto ai pericoli di restare invischiati nel circolo vizioso delle aspettative negative, le quali possono “appesantire” il nostro sistema psicofisico e rendere più difficile il ritorno alla salute, dando corpo al cosiddetto effetto nocebo.

È anche importante sottolineare che dette aspettative negative spesso poggiano su convinzioni malsane e non basate sui fatti, che sarebbe dunque utile trasformare in senso più sano, tema molto importante di cui parleremo nei prossimi mesi.

Il potere delle aspettative si esplica sia per favorire la guarigione, sia per allontanarla. Per dirlo con le parole del prof. Benedetti «Le parole possono guarire. Ma le parole possono anche uccidere» (Benedetti, 2018, p. 12). Questo può succedere quando viene comunicata una diagnosi infausta che, chiudendo la porta a qualunque possibilità di evoluzione favorevole, suona e viene vissuta dal malato come una sentenza di morte. Abbiamo visto nell’articolo dedicato alla competenza comunicativa, quanto sia importante comunicare una cattiva notizia adottando tutte le cautele del caso.

Sicuramente è importante descrivere il quadro della situazione medica ma è ben diverso sentirsi dire dai medici che ci hanno in cura: «Gli esami hanno rivelato la presenza di un tumore nel colon. Fortunatamente lo abbiamo localizzato e dunque possiamo trattarlo offrendo le migliori terapie disponibili. Noi faremo tutto quel che è in nostro potere e anche lei può fare molto perché le cose vadano nel migliore dei modi. In ogni momento e per qualunque problema, dubbio o preoccupazione, potrà contare su di noi. Per il resto raccomandiamoci alla buona sorte» da «Purtroppo lei ha un tumore al colon e dobbiamo intervenire urgentemente prima che si producano metastasi nel resto del corpo». Nel secondo caso, resta spazio solo per la sensazione di urgenza, l’angoscia e l’aspettativa che potremo solo peggiorare o morire, mentre nel primo percepiamo che il campo delle possibilità è aperto, che possiamo fare molto di nostro, che i medici sono al nostro fianco e che dobbiamo avere fede che tutto ciò che non possiamo controllare andrà come desideriamo. Non c’è un’unica verità nella situazione reale, è il modo in cui noi la percepiamo a fare la differenza, perché è la nostra visione a trasformarsi, attraverso le nostre emozioni, in reazioni biochimiche dell’organismo che possono remare o verso la guarigione o controcorrente.

Tornando agli studi del prof. Benedetti, citiamo un esempio di come l’effetto nocebo agisca sulla nostra fisiologia. Le parole negative, sostiene, creano un’ansia anticipatoria, che attiva l’asse dello stress (con tutti gli effetti fisiologici descritti nell’ articolo che gli abbiamo dedicato), il quale ha la funzione di prepararci ad affrontare il temuto avveramento delle aspettative funeste. Lo stato di ansia anticipatoria inoltre è prodotto dall’attivazione dei lobi prefrontali del cervello che innescano la produzione di colecistochinina, una molecola che amplifica il dolore. Questo meccanismo è lo stesso attraverso il quale il semplice rumore del trapano del dentista sembra farci già sentire male, proprio per l’intimo legame che esiste tra ansia anticipatoria e percezione del dolore (Benedetti, 2018).

Un esempio della forza che può avere un’aspettativa negativa è dato, oltre dall’esempio della nausea citato nell’articolo sulle aspettative positive,  da uno studio realizzato nel Regno Unito dal 1976 al 1983 (Fieldindg et al., 1983), nel quale 411 pazienti che avevano ricevuto una diagnosi di cancro allo stomaco erano stati suddivisi randomicamente in tre gruppi. In due dei tre gruppi ai pazienti venivano somministrati due diversi trattamenti chemioterapici, mentre il terzo gruppo fungeva da gruppo di controllo, nel quale ogni partecipante riceveva un placebo, ovvero tre iniezioni settimanali di soluzione salina. Indipendentemente dal risultato dello studio, ciò che risultò sorprendente fu che un terzo dei pazienti ai quali fu iniettata la soluzione salina svilupparono alopecia, sintomo frequentemente associato all’assunzione di famaci chemioterapici.

Studi epidemiologici realizzati negli ultimi due secoli (citati in Hirshberg & O’Reagan, 1993; LeShan, 1994; Hirshberg & Barasch, 1995) ci dicono che anche la mancanza di aspettative riguardo il nostro presente e il futuro non è d’aiuto nella strada verso la salute. La  perdita di speranza sembra essere implicata non solo in minori possibilità di guarigione ma anche nell’insorgenza stessa del cancro. Chi ha sperimentato una forte mancanza di speranza rispetto a ciò che ritiene importante nella vita, è più suscettibile di ricevere una diagnosi di cancro. In particolare, parliamo di casi di persone che nella vita non si mostrano per ciò che sentono e che realmente sono, perché hanno paura di non essere accettate; di chi ha smesso di credere che potrà davvero vivere i suoi sogni; di chi ha perso una persona o un progetto che costituivano la sua ragione di vita e non è riuscita a trovare una valida alternativa capace di fornirgli una nuova motivazione per vivere (LeShan, 1994). Come possiamo vedere da questi esempi, la speranza è strettamente legata alle ragioni per vivere: se tutto è perduto non ho più ragione per voler restare. È necessario credere che le cose andranno bene per rendere possibile tutto il resto.

Se vuoi saperne di più o se desideri lavorare sulle tue ragioni per vivere o sulla trasformazione delle convinzioni malsane in un modo di pensare più sano, contattami.


Bibliografia

Benedetti F. (2018), La speranza è un farmaco, Mondadori Libri S.p.A., Milano.

Fielding J.W.L. et al. (1983), “An interim report of a prospective, randomized, controlled study of adjuvant chemotherapy in operable gastric cancer: British stomach cancer group”, World J Surg, May, Volume 7, Issue 3, pp 390–399, DOI: 10.1007/bf01658089).

Hirshberg C., O’Reagan B. (1993), Spontaneous Remission. An Annotated Bibliography, Institute of Noetic Sciences, Sausalito (CA). Il testo è liberamente consultabile sul sito dell’IONS, al link http://library.noetic.org/library/publication-bibliographies/spontaneous-remission.

Hirshberg C., Barasch M.I. (1995), Remarkable Ricovery: What Extraordinary Healings Tell Us About Getting Well and Staying Well, Riverhead, New York.

LeShan L. (1994), Cancer as a turning point, Penguin Group, New York.