Tutti noi abbiamo o abbiamo avuto nella vita paura di qualcosa o qualcuno, e potremmo chiaramente indicarlo. Quel che però è spesso meno consapevole è il modo in cui ci comportiamo per cercare di gestire quel timore.
La paura è la più potente delle emozioni, quella più strettamente legata alla nostra sopravvivenza. La paura attiva il sistema di allerta e la conseguente cascata di ormoni dello stress, in particolare adrenalina e cortisolo, che permette di reagire in modo quasi automatico ai pericoli. Questo fenomeno, noto come reazione d’allarme, che ci prepara a una risposta del tipo attacco-fuga o di congelamento1, è chiaramente percepibile: il cuore inizia a battere più forte, la respirazione accelera, i muscoli diventano più prestanti e pronti a scattare; dal punto di vista mentale, inizia un lavoro frenetico al fine di risolvere il problema, mentre da quello comportamentale è facile diventare nervosi o aggressivi.
La paura è perciò una nostra alleata ed è anche un motore che stimola il nostro impegno per il raggiungimento di buoni risultati. Se però se diviene troppo intensa può generare blocchi e limiti alle nostre attività e possibilità, riducendo di conseguenza la nostra qualità di vita. Quando siamo preda di un forte timore l’amigdala, area del cervello deputata alla gestione dell’ansia e della paura è molto attiva, mentre viene ridotta la funzionalità della corteccia cerebrale che ci aiuta invece a formulare una valutazione più pacata e razionale rispetto a ciò che stiamo vivendo. In simili situazioni possiamo avere la sensazione di non riuscire più a pensare né a reagire, come può avvenire per esempio in presenza di un attacco di panico, e di conseguenza è difficile essere lucidi e prendere buone decisioni.
Ognuno di noi cerca modalità proprie al fine di controllare la paura, ed è proprio questo obiettivo che produce spesso comportamenti che nella maggior parte dei casi sono controproducenti. Vediamone alcuni.
Una delle reazioni più frequenti per controllare la paura è cercare di non pensare a ciò che si teme, soluzione che ha in sé il germe del suo stesso fallimento, dal momento che per decidere di non pensare più a qualcosa, devo prima averla pensata. Provate a non pensare a un elefante rosa: qual è la prima immagine mentale che vi si presenta? Proprio quella dell’elefante rosa. Di conseguenza, se cercate di non pensare a quella cosa di cui avete tanta paura, in realtà la rinforzate, perché nel tentativo di cancellarla la mantenete presente nel vostro orizzonte.
Un altro tipo di comportamento che si adotta per allontanarsi da ciò che crea paura, è quello di spostare l’attenzione su qualcos’altro, scelta che magari per un po’ funziona, ma prima o poi sarà comunque necessario tornare a fare i conti con ciò che comunque aspetta al varco. Questa strategia perciò non aiuta a ridurre o andare oltre la paura, tutt’al più la “parcheggia” per un po’.
Una terzo tipo di tentativo è quello di cercare di controllare le proprie reazioni, come per esempio ricorrendo alla meditazione, a tecniche di rilassamento, alla visualizzazione positiva o all’autoincoraggiamento. In realtà, l’esperienza mostra che questo tipo di soluzione crea il paradosso in base al quale quanto più si cerca di controllare le proprie reazioni, tanto più si perde il controllo, soprattutto se si percepiscono sintomi importanti come la tachicardia o il respiro affannoso.
Oppure ancora, per ridurre la possibilità che quel che si teme possa verificarsi, si può essere tentati dal voler cercare di controllare tutto ciò che potrebbe favorire l’evento temuto, col risultato di moltiplicare il numero di cose che la mente dovrebbe tenere a bada per evitare il disastro. Per esempio, se mi terrorizza l’idea di parlare in pubblico, posso voler scrivere il mio discorso e impararlo a memoria per sentirmi più sicura. Dal momento che però, come abbiamo visto in precedenza, l’ansia confonde i pensieri, il risultato sarà che quando mi troverò davanti al pubblico, in presenza di un’emozione così forte sarà più difficile pensare lucidamente e ricordare il discorso, e io mi agiterò ancora di più.
È chiaro perciò che queste strategie di risposta costituiscono delle tentate soluzioni ridondanti nelle quali si cerca di fare una cosa che non dà buoni risultati: tenere a bada ciò che non può essere controllato. Come possiamo dunque gestire quest’emozione così potente in modo da conservare le sue utilità ma senza che diventi un limite? Come fare tenendo in conto che si tratta di un’emozione che non si lascia imbrigliare?
Il Problem Solving Strategico® (Nardone, 2009) ci suggerisce delle modalità di azione che fanno leva sul modo in cui la nostra mente funziona e ne aggirano gli ostacoli. L’esperienza maturata con chi soffre di ansia e attacchi di panico ha ormai chiarito che l’unico modo di superare la paura è quello di passarci attraverso: la prescrizione strategicamente corretta non è cercare di evitarla, bensì richiamarla volutamente, con la tecnica della peggiore fantasia. Questa tecnica consiste nella prescrizione di guardare in faccia la paura quotidianamente per qualche settimana, esprimendola ed entrandoci dentro con pensieri, emozioni e sensazioni. All’inizio questo dovrà avvenire in un ambiente protetto e successivamente anche al di fuori di esso, trovando uno spazio per visualizzare la situazione minacciosa e lasciarsi andare alle fantasie più spaventose. Nel tempo, richiamare volontariamente la paura, fa che la mente inizi a distaccarsene e la conseguenza sarà che più richiamerò deliberatamente la paura e meno paura mi farà, trasformandosi gradualmente in coraggio.
Un altro stratagemma, quando la paura è meno intensa, è quello di paventare una paura più grande, quella data dalle conseguenze nefaste che produrrà il fatto di non affrontare il problema e che si temono più del problema stesso. Se per esempio ho paura di presentarmi a un esame, può essere utile richiamare la delusione dei miei genitori nel caso in cui dovessi rinunciare, per paura, appunto. La paura più grande ridimensiona quella originaria.
Infine, alcune persone possono trovare la spinta per superare i loro timori nel momento in cui qualuno le provoca dubitando delle loro capacità. In quel caso la rabbia di sentirsi ingiustamente svalutati, unita all’amor proprio, li aiuterà a sbloccarsi e ad affrontare la situazione temuta.
Spero che queste riflessioni e strumenti dell’approccio strategico possano averti aiutato ad aprire nuovi punti di vista sulla paura e su come affrontarla. Se desideri approfondire e adottare un approccio più efficace per andare oltre le tue paure nel qui e ora, contattami.
Bibliografia
Nardone G. (2009), Problem solving strategico da tasca, Adriano Salani Editore, Milano.
1 La risposta di attacco-fuga (o “fight or flight response“) è un meccanismo fisiologico che si attiva in presenza di una minaccia percepita, preparando il sistema corpo-mente a reagire in modo rapido. Questo concetto è stato descritto per la prima volta da Walter Cannon negli anni Venti del Novecento ed è fondamentale per la sopravvivenza degli esseri viventi, poiché consente di affrontare situazioni pericolose o di fuggire da esse.
I comportamenti osservabili a fronte di questa attivazione possono essere:
- attacco: si affronta direttamente la minaccia, che può manifestarsi come aggressività o conflitto;
- fuga: la persona si allontana dalla minaccia al fine di evitare il confronto diretto;
- congelamento: nei casi in cui, non è possibile né attaccare né fuggire, si può verificare una reazione di immobilità temporanea (freezing), che può essere una strategia di difesa per evitare di attirare l’attenzione del predatore.